Deborah Compagnoni e Alex Schwazer a Sport Business Forum: «Le nostre cadute»
I racconti dei due olimpionici all’evento organizzato dal gruppo Nem a Gemona. La sciatrice: «Ho imparato dagli infortuni». Il marciatore: «Mi piace la fatica»

Due campioni olimpici con alle spalle due percorsi differenti e molte cadute, anche queste per motivi completamente diversi: in un caso il doping nell’altro gli infortuni, ma Deborah Compagnoni e Alex Schwazer, uniti dalla passione per lo sport, hanno trovato la forza di rialzarsi e reagire alle difficoltà. Come ci sono riusciti lo hanno raccontato ieri nella giornata conclusiva dello Sport business forum a Palazzo Fantoni, a Gemona del Friuli.
Compagnoni, tre volte oro olimpico nello sci alpino in tre differenti edizioni, intervistata dal vicedirettore del Gruppo Nem con delega allo Sport, Giancarlo Padovan, ha ricordato anche i tre gravi infortuni alle ginocchia che ne hanno inevitabilmente condizionato la carriera mentre Schwazer, rispondendo alle domande del giornalista del Gruppo Nem, Nicola Cesaro, ha rivelato alcuni dettagli inediti dei suoi inizi senza nascondere poi le responsabilità in occasione della prima squalifica e la rabbia per la seconda.

Le sconfitte
Ad aprire il dibattito è stata la sciatrice di Bormio che ha ammesso di «non ricordare molto le sconfitte che pure sono state tante, ho molto più presente le vittorie e soprattutto le soddisfazioni».
Archiviare subito una giornata storta e lavorare subito per ripartire al meglio è uno dei segreti dei grandi campioni. «Forse da ragazzina - ha proseguito - quando sono andata in nazionale e non vincevo subito com’ero abituata a fare ho sofferto di più, ma poi ho capito che le sconfitte sono uno step, fanno semplicemente parte del percorso».
Le medaglie
E il percorso l’ha portata a vincere tre medaglie d’oro mondiali e tre medaglie d’oro olimpiche (Albertville 1992, Lillehammer 1994 e Nagano 1998). «La più bella - ha detto - forse è stata l’ultima perché ci sono arrivata con più consapevolezza ero meno istintiva e poi forse inconsciamente sapevo che sarebbe stata l’ultima».
Il ritiro
A soli 29 anni, Compagnoni ha deciso di ritirarsi: «Più ancora degli infortuni forse quello è stato il momento più difficile, ripensandoci oggi avrei probabilmente potuto allungare la carriera ma quella volta mi è sembrata la cosa giusta da fare, c’erano molte aspettative e pensavo di non poter più raggiungere gli stessi risultati anche perché c’era la consapevolezza di non avere più il fisico integro dopo i tre infortuni alle ginocchia. Se mi hanno cambiato? Certo mi hanno fatto crescere e decidere di incanalare le mie energie negli slalom lasciando la discesa».
Il sociale
Lasciata l’attività agonistica ma non gli sci («ancora oggi mi piace sciare veloce»), Compagnoni si è dedicata al sociale: «Ho fondato l’associazione “Sciare per la vita” che si occupa della cura e della ricerca di malattie pediatriche ematologiche e oncologiche, ma sempre in ambito pediatrico».
Gli inizi in bici
Prima di diventare marciatore Schwazer è stato giocatore di hockey e ciclista. «Sono nato in un piccolo paese, per noi lo sport era l’occasione di stare insieme e poi in famiglia tutti erano sportivi, mio nonno ha partecipato a due Olimpiadi e io sono cresciuto con questo sogno soprattutto dopo aver visto la foto della cerimonia di apertura a Sarajevo. Ho iniziato con l’hockey, giocavo con i più grandi poi correvo e ho iniziato ad andare in bici perché mi piaceva fare grandi distanze, ogni tanto uscivo e poi chiamavo a casa per farmi venire a prendere perché mi ero perso in qualche vallata. Sono finito in una squadra di quasi professionisti per caso e alla prima gara sono caduto».
La svolta
Archiviata la parentesi ciclismo, Schwazer stava per lasciare anche la marcia: «Mi squalificavano sempre perché non avevo la tecnica giusta così ho pensato di smettere ma poi ho capito che con l’allenamento giusto avrei potuto fare bene. Mentre facevo il militare ho anche dormito in macchina per potermi allenare».
Il successo
Nel 2008 a Pechino Schwazer sorprende tutti e vince un incredibile oro: «A metà gara volevo fermarmi perché avevo un’infiammazione al tibiale destro poi mi sono detto, faccio ancora un giro e così quello dopo. Poi mi sono sentito meglio e ho visto che gli altri erano più affaticati di me e alla fine ho vinto».
In una gara il compendio di tutta una carriera con la capacità di reagire a fare il filo conduttore.
Il buco nero
Dopo il trionfo le difficoltà. «Mi è sempre piaciuto, più ancora di vincere, fare fatica, mi piace allenarmi ma a un certo punto non riuscivo più a convivere con la fatica, avevo la nausea della fatica ed ero in uno stato psicologico compromesso. Avrei fatto qualsiasi cosa per riprovare le sensazioni da sportivo così ho deciso di doparmi».
La beffa e il riscatto
Scontata la squalifica Schwazer è tornato più forte di prima, era pronto a correre l’Olimpiade a Rio, ma una seconda squalifica a dir poco controversa glielo ha impedito. Lui però, di nuovo, non ha mollato, ha continuato ad allenarsi e a 40 anni ha migliorato dopo 14 anni il precedente primato personale stabilendo il nuovo record europeo master sui 10.000 metri su pista in attesa dell’esito del procedimento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro il governo svizzero per far luce sulla sua seconda squalifica
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