Baccini, il super tifoso del Genoa: «Ma giocavo in porta alla Samp»

Il 20 settembre il cantautore di “Sotto questo sole” sarà ospite all’ex Chiesa di San Michele a Gemona

Nicola Cesaro

 

Quando scrisse l’inno ufficiale del Genoa, nel 1991, i Grifoni arrivarono al quarto posto in A e in semifinale di Uefa. E poi, in ordine: ha rischiato di debuttare in A con la Samp, ha scritto una canzone per Marco Pantani, la sua “Sotto questo sole” è onnipresente nei giorni del Giro d’Italia. La prima domanda è quasi pleonastica.

Francesco Baccini, cosa ci fa un cantautore a un festival dedicato a sport e business?

«Io sono cresciuto a sport e musica. Ho fatto così tanto sport che quasi ero un decatleta. Ho cominciato con la ginnastica artistica, mia mamma aveva la fissa: si pensi che sin da bambino ci invitava a fare esercizi di allungamento. Risultato? Non ho quasi mai avuto un acciacco, lei toccava terra con le mani senza piegarsi anche a 90 anni, io ho fatto lo stesso con mio figlio con l’educazione allo stretching quotidiano».

Ha parlato di decathlon, mancano altre nove discipline…

«Ho praticato judo, volley, canottaggio, nuoto, ovviamente il calcio. Oggi a 64 anni vado in bici e non c’è giorno che non vada a passeggiare lungo l’Adda con uno dei miei tre cani, per la loro gioia. E pensare che da piccolino ho rischiato grosso…».

Cioè?

«Decalcificazione femorale, ho dovuto subire due operazioni e sono rimasto a letto un anno e mezzo a 16 anni. Eppure fu la mai fortuna: fui obbligato a stare da solo, in una gabbia di gesso, senza amici e compagnie. Lessi tantissimo, ascoltai moltissimi dischi: ho conosciuto lì l’umorismo di Woody Allen e il talento di Fabrizio De André, Enzo Jannacci e Luigi Tenco».

Ha la fama di essere un portierone.

«Ho giocato nella primavera della Samp, nonostante io sia tifoso accanito del Genoa (al momento dell’intervista telefonica, Baccini stava andando ad assistere a Genoa-Lecce, ndr). Uscite e rigori erano le mie specialità. Le soddisfazioni poi me le sono comunque tolte in alcuni tornei senior e soprattutto con la Nazionale Cantanti».

Qualche rigore eccellente parato?

«In alcuni tornei organizzati dall’amico Jacopo Sbravati ho respinto un rigore a ad Angelo Palombo della Samp, in un’altra ho fatto arrabbiare mister Gian Piero Gasperini per le tante parate alla sua rappresentativa. Beh, con i cantanti le più grandi soddisfazioni: parati i rigori a Ciccio Graziani, Aldo Agroppi e Paolo Rossi. Me la cavavo, modestamente».

Quali erano i compagni difensori con cui si sentiva più al sicuro nella Nazionale Cantanti?

«Sandro Giacobbe era un picchiatore seriale, un muro. Anche Paola Vallesi se la cavava davvero bene».

La musica è competizione?

«Per me non lo è mai stato, nemmeno per la mia generazione. Ora lo è eccessivamente, e la colpa è dei talent. La musica da quindici anni è solo gara, che sia Sanremo o che sia l’ennesimo format. Ma non è così: la musica è aggregazione, ed è così variegata che non può essere messa a confronto e inserita in una classifica. Qualcosa che nasce già come prodotto, e oggi purtroppo è spesso così, non può essere definito arte».

Ha dedicato una canzone a Matilde Lorenzi, sciatrice alpina morta a 19 anni.

«Mi è stata chiesta una canzone per un docufilm dedicato alla “valanga azzurra” in vista delle Olimpiadi invernali. Di getto ho pensato a lei, mi sono messo al piano e ho scritto. La musica ha il dono dell’immortalità: con questo brano voglio, in qualche modo, farla rivivere». 

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