Zago, la bici e una sposa che non esisteva

Più che matto, era strano. Fummo noi amici a prenderci cura di lui. Le nozze con l’Antonella erano sempre fissate la domenica prossima

Diego Marani

Come tutti i paesi che si rispettano, anche noi abbiamo sempre avuto un matto. Ma il nostro preferito, quello per cui proviamo la più grande nostalgia è Zago.

Zago forse non era neanche matto. Più che una pazzia la sua era una stranezza, uno smarrimento che gli faceva perdere il filo del discorso. Perché quando non parlava Zago era come uno di noi, posato e garbato. Anzi rispetto a noi appariva perfino più riflessivo. Cosa ovvia del resto che un matto debba pensare più degli altri. Fatto sta che fummo noi a prenderci cura di lui e quel che non poté la classe differenziale in cui lo si costrinse da bambino, poterono le lunghe estati che passavamo insieme, quando la scuola era finita, alla terrazza del bar del paese. Con noi Zago si sentiva al suo posto perché lo trattavamo come uno di noi, gli davamo fiducia, assegnandogli ogni tanto qualche incarico facile che lo distraesse dalle sue incongruenze.

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Zago abitava in una casa protetta nella frazione di San Pietro a tre chilometri dal paese e con la sua bicicletta andava avanti e indietro per la campagna fino a sera. Lo si incontrava anche lontano, in mezzo ai campi a mangiare prugne acerbe dagli alberi o lungo i canali a fare compagnia ai pescatori o addormentato all’ombra sotto un ponte. Nei giorni della fiera capitava che qualche burlone gli desse un vecchio berretto militare ed un fischietto e allora Zago si metteva a fare il vigile. Gesticolava fischiando in mezzo alla strada, le macchine clacsonavano, la gente di fuori che non lo conosceva si affacciava al finestrino cercando di ottemperare alle sue balzane ingiunzioni. Finché non arrivava il vigile vero, che lo scacciava in malo modo maledicendo il burlone che gli aveva procurato quel travestimento.

La pazzia di Zago a momenti era quasi impercettibile, quando si sedeva al tavolo del tressette come se capisse il gioco o si appoggiava a sfogliare il giornale alla rovescia sul frigo dei gelati. Bisognava però tenergli sempre un occhio perché non combinasse qualche pasticcio. Più volte era capitato che qualche camionista si fermasse a chiedere la strada e Zago sfuggendo al nostro controllo, si facesse avanti a dare indicazioni farlocche che puntualmente mandavano il malcapitato a perdersi in mezzo alle risaie.

“Scusi, per andare sulla Romea?” Zago si alzava, si toglieva il cappello, tutto concentrato gonfiava il petto e indicava con il braccio la campagna sconfinata. “Sempre dritto, dopo il ponte a destra, non può sbagliare!” diceva con gravità ripetendo a memoria una frase sentita in giro. Il camionista ripartiva rassicurato ma dopo mezz’ora tornava indietro a maledirci tutti.

 

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Forse era il gioco del berretto da vigile che aveva insinuato nella mente di Zago la vertigine di essere preso sul serio, di essere creduto e di piegare così alla sua misura quel mondo che non capiva. E i camionisti che lo ascoltavano attenti e ripartendo lo salutavano grati, gli facevano sentire tutta la loro fiducia. Del resto era comprensibile che si fidassero di lui, perché Zago era sempre tutto azzimato, in giacca e cravatta e portava perfino un garofano all’occhiello quando correva scampanellando per le vie del paese sulla sua bicicletta tutta lustra.

“Dove vai così elegante, Zago?” gli chiedeva la gente.

“Domenica mi sposo!” rispondeva lui. “Ma con chi ti sposi, Zago?“ rilanciava qualcuno.

“Con l’Antonella!” gridava lui.

“E chi è l’Antonella, Zago, Chi è?”

Zago allora diventava tutto rosso, si guardava attorno ridendo come se si trattenesse dal rivelarci un segreto e poi correva via sempre scampanellando. Ma quel che non era capace di vedere lui con gli occhi vuoti della sua pazzia lo vedevamo noi immaginando davvero salire la scalinata della chiesa con la sua immaginaria Antonella sotto braccio tutta vestita di bianco. Ci piaceva lasciarci andare a quella fantasia e nel corteo c’eravamo anche noi che lanciavamo il riso agli sposi piangendo e ridendo, perché Zago si sposava e noi a Zago volevamo bene, era il nostro matto, la nostra verità, il nostro specchio. Così il matrimonio di Zago, sempre annunciato, sempre imminente, finiva per mantenerci in un’eterna, frenetica allegria che durava tutt’estate. Zago si sposava, mancava ancora poco, domenica! E via a pedalare nella piazza dove i bambini sui pattini si attaccavano alla sua bicicletta e lui li tirava tutti, sciami di bambini che inneggiavano all’Antonella.

Forse la pazzia protegge dal dolore ma non dal tempo che passa. Anche Zago invecchiò, gli vennero i capelli bianchi e la sua pazzia parve allora più veneranda, come a dire, ponderata. Adesso se qualche camionista gli frenava accanto, Zago distoglieva lo sguardo, fingeva di non sentire, a rischio di passare per villano. Il matrimonio era sempre fissato per domenica ma Zago sembrava tenerci di meno. Come se ormai lui e l’Antonella fossero una vecchia coppia che si era già detta tutto. Invece di pedalare per la campagna, ora si appartava sulle panchine della piazza a raccogliere le ghiande dei lecci. Se ne riempiva le tasche e poi andava a lanciarle nel canale. Con l’età cominciava a vederci di meno, traballava sui pedali e scampanellava incerto.

 

***

L’estate passava e le giornate cominciavano ad accorciarsi. La sera diventava pericoloso percorrere lo stradello tortuoso che costeggiava il canale fino a San Pietro. Erano solo tre chilometri ma della campagna più buia. Zago aveva paura ad andarci in bicicletta e gli operatori della casa protetta si erano raccomandati che rientrasse prima del tramonto. Ma lui non sapeva cosa fosse il tramonto e poi non voleva rinunciare alla nostra compagnia. Così si attardava a guardare le partite di tresette e non si accorgeva che fuori scendeva il buio. Usciva sulla strada impaurito, lasciava la bicicletta contro il muro e si avviava a piedi lungo il canale. Camminava cauto, tastava il ciglio della strada con il piede, guardandosi indietro, sussultando ad ogni ombra. Ma noi avevamo previsto tutto. Uno andava a prendere l’Apecar del prete dietro la canonica e ci caricava sopra la bicicletta di Zago. Noialtri seguivamo a distanza pedalando in silenzio.

 

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L’Apecar scoppiettante raggiungeva Zago lungo la strada, rallentava, l’autista si affacciava e chiedeva: “Scusi per andare a San Pietro?”.

Zago si toglieva il cappello, tutto concentrato gonfiava il petto e puntava il dito: “Sempre dritto, dopo il ponte a destra, non può sbagliare!”. Allora la portiera si apriva mentre dietro spuntavamo tutti dal buio gridando. “Dài Zago lassa lì e salta su! Zago, salta su!”. 

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L’autore

Diego Marani ha lavorato per l'Unione europea dal 1985 al 2020, da ultimo come coordinatore della diplomazia culturale europea. Dal 2021 al 2023 è stato Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Parigi.

È anche autore di oltre 20 romanzi tradotti in più di 15 lingue. Con "Nuova grammatica finlandese" ha vinto il Premio Grinzane Cavour e con "L'ultimo dei Vostiachi", il Premio Selezione Campiello. Il suo ultimo romanzo "L'ultima falsità" è appena uscito in libreria.

Diego Marani è l'inventore della lingua-gioco Europanto, in cui ha scritto rubriche su vari giornali europei. Collabora con "Il Sole 24 Ore" e con il Gruppo Nord Est Multimedia.

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