A Link il giornalista di guerra Steinmann: «La gente del Donbass ha accettato i russi. Ma per pragmatismo: si vuole la normalità»
Il giornalista di guerra Steinmann sarà ospite alla kermesse sabato. Presenterà a Link il suo libro “Vite al fronte”, raccolta di reportage

Luca Steinmann è un reporter di guerra che come pochi altri conosce il conflitto ucraino. Sarà uno degli ospiti di Link Media Festival, sabato alle 10 alla Link arena in piazza Unità presenterà il suo libro “Vite al fronte. Donbass, Libano, Siria, Nagorno-Karabakh: il grande intreccio delle guerre nelle storie di chi le ha vissute”.
Steinmann, che chance ha la pace oggi?
«Purtroppo le guerre sono uno strumento di confronto internazionale ed è sempre stato così e continuerà ad esserlo. Prima del 24 febbraio del 2022 non ce ne rendevamo conto... Per quanto riguarda i conflitti in Ucraina e in medioriente, spero si possa arrivare a delle soluzioni territoriali il più presto possibile, che però non implicheranno per forza una cessazione delle guerre. La guerra in Ucraina è diventata ormai un tavolo su cui si confrontano delle potenze molto ampie: la Russia e gli Stati Uniti. Quindi il futuro della guerra in Ucraina è legato al futuro delle relazioni tra Mosca e Washington, molto di più che di quelle tra Mosca e Kiev».
Trump farà la differenza?
«Mi sembra che Trump sia un affarista, che non abbia una linea precisa: va dove vede la convenienza. È davvero poco prevedibile. Paradossalmente così diventa molto rilevante ciò che ha da dire la Russia. Ma sono convinto che nel medio periodo la Russia abbia bisogno di arrivare a un cessate il fuoco, perché la popolazione è stanca e il numero di madri che accolgono le bare dei propri figli non può diventare troppo alto».

Come ha fatto ad andare nelle retrovie russe nel Donbass?
«Sono andato lì il giorno prima che i russi chiudessero le frontiere trasformandomi di fatto in uno dei pochissimi testimoni non russi in quel territorio e che potè seguire per mesi, per anni l’invasione, le loro operazioni militari. Ho fatto embed singoli (esperienze al seguito dell’esercito ndr) per seguire una battaglia o uno scontro armato. Ma ho potuto vivere con la popolazione locale».
Che cosa ha visto nella popolazione locale?
«Molta poca ideologia e molta ricerca di pace e normalità. È per pragmatismo che la maggior parte della popolazione del Donbass che è di lingua russa e che vive nei territori che già dal 2014 di fatto sono controllati dai russi ha accettato la loro presenza, chi attivamente, chi passivamente, chi con aperto sostegno, chi con rassegnazione. Un’avanzata russa corrisponde all’allontanamento della linea del fronte dalle città del Donbass, quindi dai bombardamenti ucraini. Se si va nel Sud dell’Ucraina russofono, invece, dove i russi sono entrati non a partire dal 2014 ma dal 2022, lì le simpatie per Mosca sono molto più tiepide. Perché lì le bombe e i missili sono iniziati ad arrivare a partire dal 24 febbraio del 2022. Raccontare questo è un modo di contrastare le varie propagande incrociate che ci sono su questa guerra. Smentisce l’idea che tutti i russofoni dell’Ucraina sono filorussi, come sostiene il Cremlino. Dall’altra parte molte gerarchie militari ucraine hanno commesso l’errore di considerare tutte le persone che vivono nei territori come collaborazionisti sganciando tonnellate di missili contro di loro in diverse città dell’Ucraina orientale. Sarà molto difficile per loro tornare a conquistare questi territori: si troverebbero davanti una popolazione più ostile che mai».
Lei è stato anche su fronti ormai dimenticati, come quello della Siria e del Nagorno-Karabakh. Che cosa c’è in questi luoghi adesso?
«In tutti questi luoghi c’è un diffuso sentimento di abbandono perché dopo una grande attenzione mediatica quando scoppiano le guerre, poi tutti questi popoli, queste realtà vengono dimenticate. Questa purtroppo è una caratteristica dell’informazione contemporanea: un’alta attenzione, talvolta morbosa, per un evento all’inizio, per poi farlo passare nel dimenticatoio. Scoppia la guerra in Ucraina, siamo stati tutti concentratissimi su quella. Poi scoppia la guerra a Gaza e siamo stati tutti concentrati su Gaza, dimenticandoci dell’Ucraina e spegnendola quasi come se fosse una partita di calcio. E vorrei portare un esempio specifico: la Siria. C’è stato un cambio di potere, il regime di Assad è capitolato nel dicembre scorso a favore di un nuovo regime composto da un’organizzazione che fino a pochi minuti prima era considerata un’organizzazione terroristica. Il passaggio da un regime all’altro sta lasciando spazio a tantissime rese dei conti interni alla Siria. Negli ultimi mesi ci sono state esecuzioni di massa, e purtroppo non ne stiamo parlando».
Il faro mediatico avrebbe potuto cambiare qualcosa?
«Sicuramente sì. Nel momento in cui sui grandi media si fosse iniziato a tematizzare migliaia di civili innocenti uccisi, ciò avrebbe inevitabilmente forzato una reazione politica a livello europeo, a livello americano, che non potrebbe non avere conseguenze sui governanti che sono all’apice di queste uccisioni. I media hanno la forza di influenzare la politica. Il silenzio talvolta è molto più efficace delle fake news...». —
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