Analisi di scenari e piani d’emergenza, Minasi: «Così tuteliamo gli italiani all’estero»

Minasi, a capo dell’Unità di crisi e già ambasciatore in Bosnia-Erzegovina, sarà ospite domenica al Link Media Festival di Trieste

Valeria Pace
Nicola Minasi, capo dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri
Nicola Minasi, capo dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri

Già ambasciatore d’Italia in Bosnia-Erzegovina e ora a capo dell’Unità di crisi della Farnesina, Nicola Minasi ha affrontato crisi dopo crisi, con l’impegno di portare in salvo gli italiani all’estero. Sarà ospite a Link Media Festival – kermesse promossa dal Gruppo Nem, che edita anche questo giornale – domenica 18 maggio alle 15 per un’intervista dal titolo “Viaggiare sicuri nel mondo: la Risk map 2025”, intervistato dalla giornalista del Tgr Rai Alessandra Zigaina.

Su quali fronti opera l’Unità di crisi?

«Lavora su cinque tipi di situazioni diverse: i rapimenti a scopo di terrorismo, gli attacchi terroristici, le epidemie, la risposta ai disastri naturali dove ci siano connazionali all’estero, e poi la tutela dei connazionali in caso di evacuazioni a seguito di eventi bellici o di altre situazioni disastrose».

Quali sono le zone più calde di cui vi occupate ora?

«Stiamo seguendo da oltre un anno una serie di interventi a Gaza per l’evacuazione medica di minori in Italia assieme ai loro familiari (120 nuclei familiari e 550 persone in tutto), un’eccezione rispetto al nostro lavoro abituale. L’anno scorso abbiamo anche effettuato un’evacuazione di 300 italiani dal Libano dopo l’invasione israeliana. Monitoriamo la presenza italiana in Iran e stiamo molto attenti al Sahel dove ci sono comunità italiane importanti e dove c’è una storia di sequestri a fini terroristici. Monitoriamo sempre, poi, i tanti casi di attacchi terroristici in giro per il mondo».

Sul caso di Cecilia Sala quanto ha pesato l’intervento degli Stati Uniti e nello specifico di Musk?

«L’elemento fondamentale è stato l’impegno del governo italiano, del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Vice Presidente e Ministro degli Esteri Antonio Tajani che tra l’altro è stato continuamente in contatto anche con la famiglia. Questo ha permesso un’accelerazione, con tempi incomparabilmente più veloci di quanto è accaduto anche rispetto ad altri paesi che avevano lo stesso problema in Iran».

L’interesse dei media ha facilitato il vostro lavoro?

«È sempre complesso in qualsiasi negoziato in una situazione di questo tipo perché per definizione i media hanno un impatto universale, quindi non solo sul governo italiano, ma hanno mandato messaggi anche all’altra parte. In generale in un sequestro la cosa più importante è evitare di andare sui media perché questo in un qualche modo rende più forte l’altra parte. È importante però far capire ai familiari che esistono contatti e si sta facendo il massimo per portare ad una liberazione. È un’equazione difficilissima che si regge sulla fiducia e sulla collaborazione dei media. In questo caso, direi che la chiave è stata il fatto che l’impegno delle istituzioni è stato talmente grande che ha permesso di sfruttare positivamente anche l’attenzione mediatica».

Quanta parte di quello che fate non finisce mai sui giornali?

«Ci sono tanti casi che non diventano mai noti perché molte situazioni delicate si risolvono meglio se non pubblicizzate. E ci sono anche situazioni in cui, per esempio, operiamo in accordo con le imprese o con i media per tutelare i propri dipendenti e giornalisti all’estero in situazioni sensibili, nella prospettiva di prevenire il problema. Gli interventi sul terreno sono importanti, ma si tratta del 25% del totale. Gran parte del lavoro ormai è l’analisi degli scenari per prepararsi alle emergenze: non ce n’è nessuna che si possa risolvere improvvisando. Bisogna sempre avere in testa un piano».

Quali i casi più scottanti di cui si è occupato?

«Negli ultimi anni tra le situazioni più vivide c’è l’emergenza in Ucraina al momento dell’invasione russa. Avevamo effettuato due ricognizioni precedenti, ma è stato comunque uno scenario che poi si è svolto in maniera totalmente diversa da quello che avevamo immaginato. E penso poi all’evacuazione dal Sudan di 100 persone da Khartoum all’inizio della guerra civile ad aprile del 2023. A luglio del 2023 c’è stata un’altra evacuazione dopo il colpo di Stato in Niger, altre 100 persone. Poi la reazione al 7 ottobre in Israele, abbiamo evacuato 1.200 persone con sette voli tra commerciali e militari. Ma le situazioni scottanti sono davvero tantissime...».—

 

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