Come si muove ora la mafia nei racconti di Lirio Abbate: «Oggi compra potere, non lo sfida»

Il giornalista di Repubblica racconta “I diari del boss”: la nuova strategia di Matteo Messina Denaro tra sentimenti, manipolazione e potere al femminile. Sabato 17 maggio al Link.

Giulia Basso
Lirio Abbate
Lirio Abbate

«I mafiosi s’arrabbiano quando metti in luce la loro incoerenza. Quando documenti le loro contraddittorietà, quando fai capire che non sono al servizio della gente come dichiarano, ma la sfruttano per raggiungere i propri obiettivi». Spiega così il palermitano Lirio Abbate, che da trent’anni firma inchieste su corruzione, mafie e traffico di esseri umani e dal 2007 vive sotto scorta, per le minacce ricevute nel fare il suo mestiere. Il caporedattore di Repubblica e autore del libro “I diari del boss” (Rizzoli), inserito da Reporters Sans Frontières fra i “100 eroi dell’informazione nel mondo” sarà a Trieste sabato 17 maggio alle 11 per presentare il suo lavoro a Link.

Nel libro “I diari del boss” analizza i documenti privati di Matteo Messina Denaro. Cosa l’ha colpita maggiormente di questi scritti?
«Per la prima volta un capomafia di altissimo livello racconta i suoi sentimenti, i rapporti con la famiglia e soprattutto con le donne. Ha lasciato una nuova strategia mafiosa, incentrata sulla volontà di manipolare la verità con la scrittura. Erano diari che si dovevano pubblicare per spiegare la sua astuzia: nella storia dei capi mafia nessuno ci ha raccontato cosa aveva nella testa. È la prima volta in cui un mafioso si racconta, senza nascondere l’idea di potere patriarcale che ha sempre voluto imporre».

Quanto c’è di costruzione del personaggio nei suoi scritti?
«L’ho visto raccontare una vita diversa rispetto a quella che conosciamo, con l’obiettivo che se fosse stata letta in futuro da chi non conosceva la sua storia, se ne sarebbe tratto un profilo differente rispetto a quello ricostruito dagli investigatori e raccontato nei processi. Questi documenti erano destinati in primis alla figlia e lui voleva consegnarle un ritratto diverso da quello emerso nel dibattito pubblico».

Un boss difeso dalle donne che lo circondavano.
«Nei diari parla dell’educazione che si è imposto e voleva imporre agli altri, da cui si evince il rapporto che aveva con le donne. Nei trent’anni di latitanza sono state tante le amanti che l’hanno protetto e mai tradito. Tra loro c’erano anche donne istruite e perfino un’austriaca, con una mentalità completamente slegata da quella tipica del sud Italia. Anche questa donna, pur sapendo che era uno stragista e un assassino, l’ha difeso, pure a distanza di anni. Le sorelle l’hanno aiutato, e hanno pagato per questo: sono state arrestate e condannate. Sono tutte donne che lui ha sempre trattato da schiave. L’unica ad avere resistito a lungo al suo carisma è stata la figlia, che non si è fatta piegare. Ma quando è stato arrestato, anche lei ha fatto marcia indietro e ha preso il suo cognome, diventando la sua erede».

In decenni di giornalismo, cosa è cambiato nel rapporto tra criminalità organizzata e istituzioni?

«Adesso sono i politici che cercano il sostegno di potenti mafiosi e non più il contrario. Il potere della mafia è economico: i mafiosi sono ricchissimi e questa liquidità dà loro la possibilità di creare un proprio esercito di uomini, che non sono solo criminali di strada ma corruttori. E in tanti si fanno corrompere. È una mafia che non inquina più, ma che occupa l’economia legale del paese: con fondi che provengono da attività illecite riesce a fare una concorrenza sleale che mette ko chi rispetta le regole».

Lei ha subito spesso minacce. Cosa la spinge a continuare?
«È il mio mestiere trovare notizie con rilevo sociale e politico, servono a documentare quello che accade intorno a noi e a far vedere come si comporta chi ci sta sopra la testa».

Come si difende oggi la profondità del giornalismo d’inchiesta?
«Avendo buoni editori e le spalle larghe che ti permettono di pubblicare e raccontare storie indigeribili per chi è protagonista dell’inchiesta. Il giornalismo d’inchiesta va sostenuto, perché alla fine è di grande utilità per tutti. Ma la tendenza è a guardare sempre il giardino degli altri; se ti toccano il proprio si diventa cattivi».

Lei scrive anche per cinema, radio, tv.
«I giornalisti devono capire il taglio da scegliere per arrivare a un pubblico il più vasto possibile. Tv, radio, documentari multimediali sono canali che vanno sfruttati, usando il corretto taglio comunicativo. Il giornalista non si deve fossilizzare su quello che si faceva trent’anni fa, anche nel linguaggio, che è profondamente cambiato. Per arrivare alla gente dobbiamo adattarci alla nuova era e fornire informazioni alla portata di tutti».—

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