Violenza domestica, ecco perché le donne vittime non lasciano l’aggressore
Uno studio di Women’s Aid rileva che il 68,4 per cento delle donne abusate non chiude il rapporto con marito o convivente autore di violenza per il timore di perdere la casa: è una delle conseguenze della povertà abitativa

La povertà abitativa non inizia quando si perde una casa, ma quando si perde la libertà di viverla come un luogo sicuro. Quando la propria abitazione, da spazio intimo e protetto, diventa teatro della violenza, molte donne restano intrappolate in un circolo vizioso che le costringe al silenzio.
Se denunciare è già difficile, farlo sapendo di non avere un luogo dove rifugiarsi lo è ancora di più. Secondo una ricerca di Women’s Aid, associazione nazionale inglese che lavora per porre fine alla violenza domestica contro donne e bambini, il 68,4% delle donne vittime di violenza domestica non lascia il proprio aggressore per il timore di non disporre di un alloggio sicuro.
Povertà abitativa e violenza economica
Povertà abitativa e violenza economica sono fenomeni profondamente connessi: la mancanza di risorse economiche rende difficile trovare o mantenere un’abitazione sicura, esponendo molte donne al rischio di dipendenza e ricatto.
Spesso questa fragilità materiale spinge le vittime a restare in relazioni pericolose e a mettere a rischio la propria incolumità e quella dei figli. Allo stesso tempo, la violenza economica — attraverso il controllo del reddito, la privazione dei mezzi di sostentamento o l’impossibilità di gestire le proprie risorse — ostacola ogni possibilità di autonomia abitativa.
La povertà abitativa può diventare così al tempo stesso causa e conseguenza della violenza: causa, perché la mancanza di una casa o di un reddito stabile alimenta la vulnerabilità e favorisce la reiterazione degli abusi; conseguenza, perché la perdita di indipendenza economica impedisce di scegliere. In questo intreccio, la violenza si radica e si amplifica, compromettendo libertà, sicurezza e dignità personale
La paura di restare senza casa
Restare senza casa fa paura.
La Fondazione Asilo Mariuccia, attiva dal 1902 nel sostegno a donne e minori vittime di violenza e il Centro Antiviolenza Ersilia Bronzini richiamano l’attenzione su questa emergenza.
Sofia Leda Salati, direttrice del Centro Antiviolenza Ersilia Bronzini osserva: «Il fatto che quasi 7 donne su 10 non riescano a lasciare il proprio abuser, quando si tratta del marito o del convivente, ci ricorda una verità scomoda: la violenza domestica è anche una questione abitativa. Troppe donne non riescono a sottrarsi a situazioni di abuso perché non hanno un luogo sicuro in cui ricominciare. Motivo per cui, garantire il diritto a una casa significa garantire il diritto alla libertà. È quindi fondamentale intervenire non solo sull’accoglienza, ma anche sulla ricostruzione dell’autonomia, attraverso percorsi di protezione, inclusione e indipendenza economica. Non a caso ogni percorso di uscita dalla violenza è un lavoro di rete. Una casa sicura, un sostegno economico, un impiego su cui poter contare: è in questo intreccio che la libertà torna a essere possibile».
Il diritto alla casa
È nel 1948 che, con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si riconosce per la prima volta il diritto alla casa come elemento fondamentale della dignità umana. Un principio universale che fa leva sulla responsabilità collettiva e sulla necessità di garantire a tutti un luogo sicuro in cui vivere.
Fondazione Asilo Mariuccia e il Centro antivionleza Ersilia Bronzini ribadiscono, quindi, l’urgenza di rafforzare i percorsi di accoglienza e autonomia per le donne vittime di violenza, con particolare attenzione al diritto alla casa come condizione imprescindibile di libertà individuale, di sicurezza e di rinascita personale.
Gli autori di violenza domestica tendono a esercitare un controllo sistematico che genera contesti di paura, isolamento e dipendenza. Per questo, intervenire in modo efficace a sostegno delle donne significa costruire una rete alternativa a quella della violenza: una rete sociale fondata su fiducia, autonomia e riconoscimento.
«Quando una donna accede ai nostri servizi», spiega Sofia Leda Salati, «ha la necessità di ricostruire la propria quotidianità e la propria capacità di autodeterminazione, e spesso ha bisogno di un alloggio per farlo. Garantire una casa non è soltanto offrire un tetto, ma restituire il diritto alla scelta, alla ripartenza e all’autonomia. Molte ci raccontano che la decisione di allontanarsi nasce dal coraggio ma anche dalla necessità: la necessità di proteggersi e il coraggio di immaginare una vita diversa. Grazie al sostegno della Fondazione, questa scelta può trasformarsi in una concreta possibilità di protezione e di rinascita, affinché nessuna donna sia più costretta a scegliere tra la libertà e la sopravvivenza».
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