Dalla scrivania del ministero a Karthoum con Emergency, Mara Rumiz: «Tra gli ultimi ho scoperto la generosità»

Mara Rumiz, dopo aver lavorato per il ministero dei Beni Culturali e la Cgil e dopo le esperienze amministrative in Comune a Venezia, oggi è responsabile di Emergency Venezia: «L’Europa pensa solo al riarmo, dimenticando che la vera difesa è fatta di diplomazia, cooperazione, diritti, conoscenza, dialogo, istruzione, cultura, lavoro»

Sabrina Tomè
Mara Rumiz nel ritratto di Massimo Jatosti
Mara Rumiz nel ritratto di Massimo Jatosti

Ma cosa gliel’ha fatto fare? Mara Rumiz, lei aveva la sua bella scrivania al ministero, Beni Culturali, e ha mollato tutto per andare alla fine del mondo, a Karthoum con Emergency.

«Ho svolto tanti lavori nella mia vita, tanti e diversi. Ho avuto la fortuna che tutti mi piacessero assai. Ero in aspettativa ai Beni Culturali per gli incarichi alla Camera del Lavoro prima e poi per il Comune di Venezia. Mi sentivo in colpa per i permessi, tipico delle donne sentirsi sempre in colpa per qualcosa. Al termine del mio mandato amministrativo in Comune, nel 2015, ho pensato di dare un giro complessivo e me ne sono andata dal ministero. Ero amica di Gino Strada che, quando non era in giro per il mondo, aveva scelto di vivere a Venezia. Con lui c’era Teresa Sarti, sua prima moglie e fondatrice con lui di Emergency. Un giorno mi chiama chiedendomi cosa stessi facendo. Niente, risposi. Bene – disse – sabato prendi l’aereo e vieni a Khartoum. Così è iniziata la mia storia con Emergency: a Khartoum a organizzare la cucina. E dopo la Sierra Leone durante ebola, l’Afghanistan, di nuovo e più volte Khartoum. Non ho salvato vite, il mio era un lavoro umile. Formare il personale delle cucine, definire le regole d’igiene, conservazione, predisposizione dei pasti, tenere i rapporti con i fornitori, ordinare i prodotti. Ma è stata un’esperienza meravigliosa, che mi ha dato tanto».

Ci racconti, nel suo percorso di impegno per gli ultimi, l’episodio che maggiormente l’ha segnata.

«Nei miei soggiorni in Africa e in Afghanistan ho potuto toccare con mano che la generosità e il sostegno dell’altro, sono qualità che spesso appartengono a chi ha di meno. Nell’ospedale a Khartoum, bello come tutti gli ospedali di Emergency perché la bellezza non è tanto un valore estetico ma un elemento della cura, ricordo le mamme dei bambini ricoverati. Quasi sempre erano poverissime, avevano fatto percorsi lunghissimi a piedi per arrivare in ospedale, non avevano niente ma ti offrivano una caramella con un grande sorriso e non smettevano di dirti grazie».

“La guerra non si abolisce con i trattati ma stimolando la riflessione e la cultura di tutti”, ha detto Strada. È il senso di Emergency Venezia?

«A Venezia sviluppiamo il secondo fine statutario di Emergency: la promozione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani. Lo facciamo utilizzando le diverse espressioni culturali: mostre, rassegne cinematografiche, presentazione libri, conferenze, concerti, azioni teatrali, workshop, corsi curricolari in collaborazione con lo Iuav. Sono consapevole del rischio di restare dentro ad una comfort zone. Chi viene alla Giudecca è, per la maggior parte, già sensibile ai temi e agli obiettivi che portiamo avanti. Bisogna trovare il modo di uscire, di frequentare luoghi e persone che siano anche lontani dal nostro modo di essere e di pensare, bisogna buttare qualche seme in territorio non “nostro”».

Citando sempre Strada, “io non sono pacifista sono contro la guerra”, cosa possiamo fare per la pace a Gaza, in Ucraina, ovunque?

«Ci sono 56 guerre nel mondo. La mia generazione è stata la più fortunata, cresciuta nella convinzione, o illusione, di avere sconfitto davvero la guerra come strumento di composizione dei conflitti. Abbiamo una splendida Costituzione che, all’articolo 11 ricorda che l’Italia ripudia la guerra. Di fronte a quello che sta succedendo in Ucraina, in Sudan, a Gaza dove è in corso un massacro che va fermato, chiudiamo gli occhi, balbettiamo, ci scontriamo sull’uso delle parole e sulla conta dei morti, mentre l’Europa pensa solo al riarmo, dimenticando che la vera difesa è fatta di diplomazia, cooperazione, diritti, conoscenza, dialogo, istruzione, cultura, lavoro. La reciproca conoscenza è fondamentale. Se c’è una cosa che mi fa arrabbiare è quando sento utilizzare il plurale per definire le persone: gli africani, i neri, i clandestini, i migranti, come fossero categorie, in cui tutto è uguale. Solo dando un nome alle persone, conoscendole, si superano le diffidenze, i pregiudizi, i timori».

Gli ultimi senza diritti e i primi che rinunciano ai loro, satolli, parrebbe, di democrazia. È andata a votare ai referendum?

«Sì, senza grande entusiasmo. Ho votato con convinzione il quesito sul dimezzamento degli anni necessari per ottenere la cittadinanza, che è proprio quello che ha avuto l’esito peggiore. Una riflessione dopo i risultati? Credo che dobbiamo smetterla di produrre iniziative che hanno spesso come scopo quello di farci vedere, farci sentire, cercare l’applauso. Se raccogliamo le firme per un referendum o se organizziamo una manifestazione ci deve essere almeno la ragionevole aspettativa di un risultato positivo, altrimenti facciamo peggio. Oggi, con questi risultati, sarà più difficile ottenere tempi minori per la cittadinanza e per migliorare le condizioni in cui vivono le persone migranti».

Fra poco si andrà a votare a Venezia e in Regione. Che amministratori vorrebbe?

«Persone capaci e integerrime, in grado di costruire un progetto che vada al di là di dopodomani e della scadenza elettorale e con il coraggio di rinunciare ai facili consensi; vorrei dei giovani; un’amministrazione inclusiva e capace di rappresentare le complessità sul territorio. Chiederei a chi ha avuto ruoli istituzionali importanti di mettere l’esperienza maturata al servizio di una nuova leva di amministratori. Siccome non vedo in giro un unto del Signore, vorrei che persone diverse, disponibili, consapevoli dell’impegno e delle responsabilità del compito, ciascuno con la sua competenza e il suo entusiasmo, si presentassero come squadra».

Quali le priorità in città e nel territorio?

«Una delle priorità per Venezia è individuare programmi e misure tese a salvaguardare la città normale, fatta di persone che abitano, lavorano, vanno a fare le spese, vanno a scuola, con negozi non soltanto di (brutti) souvenir, locazioni turistiche, kebab e pizze al taglio. Oggi vivono male i cittadini e vengono accolti malissimo i turisti. Serve mettere una soglia oltre alla quale bisogna inibire l’accesso. Bisogna incentivare l’insediamento di attività che siano concorrenti di quelle turistiche e con la capacità di produrre reddito. C’è il problema della casa, soprattutto per quello che veniva definito ceto medio e che medio ormai non è più e per i giovani».

Prima il Mose e poi Palude, che fine hanno fatto i veneti “brava gente”?

«Per fortuna c’è ancora tanta brava gente nel Veneto, basti guardare ai numeri del volontariato. Quello che è mancata, che manca è la politica, nel senso nobile del termine. Il vuoto della politica viene riempito dagli interessi personali o di gruppo, dalle scalate di chi ha più soldi da mettere nelle campagne elettorali, dalle norme piegate a seconda degli interlocutori. E l’assenza della politica demotiva le persone a recarsi alle urne».

Lei è stata in prima fila nelle battaglie per i diritti delle donne, come vede la situazione oggi?

«Vediamo le donne in posizioni impensabili solamente alcuni anni fa: nella politica, nelle istituzioni, nell’impresa, nell’Università, nella sanità, nella ricerca. Le donne hanno assunto maggiore consapevolezza di sé, ma resta il divario nelle retribuzioni, il maggior carico nel lavoro di cura, la piaga intollerabile della violenza e del femminicidio. Mancano ancora troppi asili nido, servizi estivi, servizi per gli anziani. Manca il lavoro. Riporto la frase che mi disse una donna afghana a Kabul: “smettetela voi occidentali di parlare di burqa . L’indipendenza si conquista con la formazione e con il lavoro”».

Chi è

Mara Rumiz è responsabile di Emergency Venezia. Ha lavorato al ministero dei Beni Culturali e alla Cgil come segretaria della Camera del Lavoro di Venezia. C’è stata l’esperienza amministrativa nel Comune di Venezia (in tutte le Giunte Cacciari in diversi ruoli: assessore ai Servizi Pubblici, alla Cultura e Istruzione, Lavori Pubblici, al Patrimonio, alle Politiche Abitative. Dal 2000 al 2005, con Paolo Costa è stata presidente del Consiglio Comunale). Nel primo mandato, dal 1993 al 1997 il sindaco le aveva affidato, oltre ai Servizi Pubblici, la delega alla Biennale.

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