Bimbi forti e bimbe buone: se la scuola è (ancora) impreparata alla parità di genere

Alla Camera, su invito della Fondazione Cecchettin, la pedagogista Irene Biemmi richiama l’attenzione su una scuola che trasmette ancora l’idea dei “bimbi forti e bimbe buone”: manuali che conservano stereotipi, poca formazione specifica e un modello maschile che spesso non lascia spazio all’espressione di emozioni e fragilità

Fabiana Pesci
Bambini all'ingresso di scuola, luogo in cui, secondo la pedagogista Biemmi, non sono ancora stati superati gli stereotipi di genere
Bambini all'ingresso di scuola, luogo in cui, secondo la pedagogista Biemmi, non sono ancora stati superati gli stereotipi di genere

C’è un filo che unisce la memoria del dolore e la responsabilità del futuro. Nella sala della Camera dove qualche giorno fa si parlava di violenza di genere, dopo l’intervento di Gino Cecchettin — il padre di Giulia, vittima di femminicidio — ha preso la parola una docente universitaria.

Irene Biemmi, pedagogista e ricercatrice dell’Università di Firenze, invita a guardare al cuore della questione: la scuola. Perché è lì, tra i banchi, che si formano le idee di maschile e femminile, di potere e di relazione, di rispetto e di differenza. Eppure, denuncia Biemmi, la scuola italiana non è ancora pronta a essere quel laboratorio di parità che tutti auspicano.

Solo cinque atenei in Italia formano alle tematiche di genere.

La pedagogia di genere è una disciplina ancora marginale nel panorama accademico: oggi è presente solo in cinque università italiane. «Questo significa – ha osservato Biemmi – che le future leve di maestre, educatori ed educatrici non vengono ancora formate adeguatamente alle tematiche legate alla parità, all’affettività e alla prevenzione della violenza».

Un limite che rischia di svuotare di significato gli appelli a «fare della scuola il laboratorio della parità», se poi chi lavora quotidianamente nelle aule non possiede gli strumenti teorici e culturali per farlo.

Una scuola femminilizzata ma non formata

In Italia, la scuola dell’infanzia e primaria è composta per il 95-96% da donne: «Abbiamo la scuola più femminilizzata d’Europa», ricorda la docente. Ma questa presenza femminile, di per sé, non garantisce un approccio consapevole alla parità di genere. «È una grande illusione pensare che le insegnanti, solo perché donne, siano automaticamente in grado di promuovere una cultura differente da quella che hanno interiorizzato», sottolinea Biemmi.

Per questo la Fondazione con cui collabora ha deciso di investire nel 2026 in un programma di formazione dedicato agli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, cioè coloro che lavorano nei momenti più delicati dello sviluppo, tra i 3 e i 10 anni.

«In quei periodi i bambini e le bambine non solo imparano a leggere e scrivere, ma si formano anche un’idea del mondo e dei ruoli di genere».

Libri di testo ancora intrisi di stereotipi

L’analisi della docente si sposta poi su un terreno concreto: i libri di testo. «Nel 2025 – osserva Biemmi – i manuali della scuola primaria continuano a trasmettere una rappresentazione patriarcale della famiglia e delle relazioni di genere».

Nei racconti e nelle illustrazioni, gli uomini lavorano e occupano lo spazio pubblico, mentre le donne restano nel privato, spesso ritratte come madri o maestre. E gli aggettivi che le descrivono – “dolci, pazienti, deboli” – ricalcano lo schema tradizionale del “sesso debole”, contrapposto a uomini “forti, coraggiosi e razionali”.

«È paradossale – commenta – che proprio la scuola, che dovrebbe essere la fucina del cambiamento, continui a reiterare modelli del passato».

Non solo empowerment femminile: serve una rieducazione maschile

Il punto più innovativo dell’intervento arriva nelle riflessioni finali: Biemmi invita a spostare lo sguardo anche sugli uomini. «Di solito – spiega – quando si parla di stereotipi ci si concentra su quanto siano penalizzate le bambine. Ma anche i bambini sono costretti dentro vere e proprie gabbie di genere: l’idea del maschio forte, aggressivo, invulnerabile li priva della possibilità di esprimere emozioni e fragilità».

Da qui la proposta di un “empowerment maschile”, inteso non come potere ma come liberazione da un modello di virilità che genera analfabetismo emotivo.

«C’è da fare un grande lavoro di rieducazione del genere maschile, che oggi – anche a livello scolastico – è male educato», conclude Biemmi.

Una cultura della parità che parta dai banchi

L’intervento della docente fiorentina si chiude con un richiamo all’articolo 14 della Convenzione di Istanbul, che invita gli Stati a inserire nei programmi scolastici materiali didattici sui temi della parità, dei ruoli non stereotipati e della soluzione non violenta dei conflitti.

Un obiettivo, riconosce Biemmi, ancora lontano dall’essere raggiunto in Italia. Ma anche un punto di partenza per una riflessione collettiva: «Non possiamo più chiedere alla scuola di cambiare la società se non diamo agli insegnanti gli strumenti culturali per farlo».


Chi è Irene Biemmi

Ricercatrice di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Firenze, insegna Pedagogia di genere e si occupa da anni di educazione alla parità, rappresentazioni di genere nei libri di testo e formazione degli insegnanti.

 

 

 

 

 

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