La Torre debutta a teatro accanto alle donne geniali cancellate dalla Storia
Da Rosalind Franklin a Rosa Oliva: le tante voci ignorate. «Sapere com’è andata veramente deve interessare tutti»

Come sarebbe guidare una macchina priva di tergicristallo? Quantomeno più difficile. Senza climatizzazione? Decisamente faticoso. E se fosse anche sprovvista dello specchietto retrovisore? Impossibile. Ma chi c’è dietro queste invenzioni? Spoiler: nessun uomo. Costellata di figure femminili geniali eppur dimenticate, è una storia, quella che conosciamo, che finora ci è stata raccontata poco e male per Cathy La Torre, avvocata, attivista e appassionata voce critica a difesa dei diritti civili.
Per la sua prima volta su un palco teatrale, stasera alle 21 al Concordia di Pordenone, domani stessa ora a Belluno al Teatro Dino Buzzati, conduce lo spettatore in “Tutte le volte che le donne” , un viaggio dove protagoniste che hanno cambiato la storia ne sono state ignorate o addirittura rimosse, cancellate.
Com’è nata l’idea dello spettacolo?
«Tre anni fa sono stata invitata a una mostra che raccontava le pittrici che nella storia hanno dovuto dipingere sotto pseudonimo maschile, o i cui quadri potevano essere venduti solo da uomini, in quanto a loro era proibito commerciare. Se questo accadeva nell’arte, mi sono domandata, vuoi vedere che anche altre cose nella storia sono state create, inventate, scoperte da donne ma poi, diciamo, “messe in circolo” da uomini? Così ho avviato una ricerca storiografica scoprendo che la mia intuizione era tristemente vera: c’erano decine e decine di invenzioni, scoperte, cure, oggetti ideati da donne ma attribuiti a uomini, con le vere autrici mai nominate per i meriti che avevano».
Qualche esempio?
«Rosalind Franklin, che contribuisce a scoprire la struttura del Dna a elica ma il Nobel lo vincono i suoi tre colleghi uomini, mentre lei muore probabilmente a causa dell’esposizione ai raggi X assorbiti per fare quella scoperta, non venendo mai menzionata. O Alice Augusta Ball, la prima persona al mondo (afroamericana ndr) a scoprire una cura contro la lebbra: non fa in tempo a commercializzarla che il suo relatore di tesi si appropria dello studio e lo pubblica a nome suo, tanto che per cinquant’anni abbiamo chiamato la prima cura contro la lebbra col nome di lui. Solo molto dopo scopriremo che aveva defraudato della scoperta la sua allieva, morta a 24 anni. La storia è piena di donne che hanno contribuito a fare la storia ma di cui non parla proprio nessuno».
Il cosiddetto “effetto Matilda” , la sistematica negazione dei risultati scientifici conseguiti dalle donne.
«Storicamente per loro vi era un dedalo di divieti ma trovo quasi più sconvolgente che oggi, di sapere com’è andata veramente, sembra importi solo alle donne: invece dovrebbe interessare chiunque, perché è una storia che è stata raccontata male a tutti e a tutte, donne e uomini. Racconto ad esempio tutte le innovazioni che le donne hanno apportato nel mondo dell’automobile: non ci si crede quante siano! Eppure gli stereotipi sulle donne che non hanno dimestichezza o che non sanno guidare dilagano».
Come ha lavorato per fondere scientificità e portata drammaturgica?
«Lo spettacolo è stato scritto insieme a dei drammaturghi, Sarah Buono, Gabriele Scotti, Bruno Fornasari: mi hanno aiutata a mescolare alti e bassi, pathos e ironia, riflessione e divertimento. Un bellissimo lavoro di cucitura delle mie ricerche storiche, che ho dovuto selezionare: ne ho scoperte talmente tante! Anche perché quando vado in giro – faccio almeno 200 trasferte l’anno – m’informo se in quella città esiste qualche donna che ha fatto qualcosa che non è mai stato raccontato: ho così scoperto donne straordinarie, mediche, rivoluzionarie.
Cosa le piacerebbe recepissero spettatrici e spettatori più giovani?
«Di conoscere una storia non solo più vera, ma che li aiuti a credere che niente sarà loro vietato. Non devono pensare mai che ci sono cose da femmine e cose da maschi, che quel lavoro non si addice perché è da femmina e viceversa. Per me la portata rivoluzionaria di parlare ai giovani – ho debuttato con le prove generali tra 700 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 17 anni – sta proprio in questo messaggio: non fatevi mai dire che questa cosa la potete o non fare in base al sesso. Spero che in un futuro prossimo tutte queste cretinate spariscano e che i nostri nipoti e le nostre nipoti non ne vengano più neppure sfiorati».
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