Isabella Collalto: «Fare la principessa non mi bastava. La mia missione sono le ville venete»

L’ex interprete della Commissione Ue oggi guida l’Associazione Ville Venete e l’azienda di famiglia a Susegana: «Presidentessa? No grazie, preferisco presidente. La mia sfida è rendere le ville case vive, non cattedrali chiuse»

Sabrina Tomè
Isabella Collalto nel ritratto di Massimo Jatosti
Isabella Collalto nel ritratto di Massimo Jatosti

Principessa, presidente, presidentessa o Isabella: come preferisce essere chiamata?

«La risposta dipende dal contesto. In quello aziendale e del mondo del vino sono sempre stata chiamata Principessa, immagino perché Principe veniva chiamato mio padre. Arrivavo dal Belgio dove avevo passato una ventina d’anni e dove risiede tuttora mio marito, un Paese dove esiste ancora la monarchia. Quanto alla presidenza dell’Associazione per le Ville Venete, non ho avuto un attimo di esitazione: presidente. È un sostantivo tanto maschile quanto femminile che si usa del tutto correttamente in situazioni professionali, ufficiali, istituzionali. Presidentessa mi sembra un artificio, è come voler sottolineare ad ogni costo che si tratta di una donna alla presidenza, mentre già l’articolo o l’aggettivo che accompagnano presidente tolgono ogni dubbio quanto al genere. Presidentessa mi sembra una forzatura, un po’ come le quote rosa nei consigli d’amministrazione. Isabella è il mio nome. Chi fa parte della mia cerchia di amici mi chiama per nome».

Lei appartiene a una famiglia aristocratica di antiche origini ed è custode di un castello millenario. Poteva fare la principessa di professione, dedicandosi tutt’al più alla beneficenza. E invece guida un’associazione che rappresenta le ville venete, oltre 4 mila censite, e segue l’azienda vinicola di famiglia. Ma chi glielo ha fatto fare?

«Mi diverte la sua idea di principessa di professione. Credo che molti immaginino effettivamente che la vita di una principessa, anche dei giorni nostri, sia una vita di ozio, dedicata alle frivolità, al massimo alla beneficenza. Prima di arrivare in Italia nel 2007, lavoravo da ormai 20 anni come interprete simultanea presso la Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles. Una vita appassionante e dinamica, adoravo il mio lavoro. Quando ho capito però che non potevo aspettarmi che i miei figli conoscessero e amassero Susegana, si appassionassero alle nostre attività aziendali, se non avessi fatti miei e trasmessi loro la conoscenza e l’amore per un luogo con il quale la storia della nostra famiglia era così intrinsecamente legato, allora non c’è stato più dubbio alcuno: l’unica cosa che potessi fare era indicare loro la strada. Decisi così di rientrare in Italia per investire la mia energia nella gestione delle svariate attività che compongono questo nostro microcosmo Collalto. Una volta rientrata in Italia ho scoperto di essere animata da un grandissimo amore per quanto mio padre mi aveva lasciato e per quanto realizzato dai miei avi. L’attività aziendale a Susegana mi impegnava già moltissimo, non ero alla ricerca di altro. Quando però entrai nell’Associazione per le Ville Venete (AVV) capii fino in fondo l’importanza di questo nostro straordinario patrimonio veneto. Sottovalutai forse l’impegno che assumere la presidenza di Avv poteva implicare, ma sapersi circondare dalle persone giuste non è forse il segreto per portare avanti attività che sembrano ben al di sopra delle nostre forze? Chi me l’ha fatto fare? Me lo chiede spesso anche mio marito... Direi la passione per una causa meravigliosa».

Donne e lavoro, la discriminazione di genere è realtà diffusa. Lei l’ha vissuta?

«Mi rendo conto che esiste, anzi, sono rimasta molto stupita di quanto fosse forte quando sono rientrata dal Belgio nel 2007. In particolare nel nostro Veneto, quello del miracolo economico del Nord Est. Arrivando in azienda in realtà capii che non ero vittima di discriminazione, come titolare sarebbe stato alquanto improbabile, e direi anche poco saggio se qualcuno ci avesse provato. Il problema era piuttosto quello di creare un rapporto di fiducia con i miei collaboratori. La prima donna titolare alla testa dell’azienda e del castello dopo generazioni e generazioni di presenza maschile…difficile da accettare per chi in azienda lavorava ormai da decenni. Per di più venivo da fuori, nessuno mi conosceva in azienda, io non conoscevo l’azienda, il personale, il mondo del vino, il castello con le sue complessità… Potevo capire le perplessità di quelli che dovevano essere i miei collaboratori: costituivo una grande incognita. Con il tempo, con pazienza, ascolto, moderazione, voglia di imparare e un atteggiamento low profile sono riuscita a conquistare la loro fiducia. Uno dei collaboratori più vicini a mio padre mi disse un giorno: “mi sembra di parlare con suo padre, rivedo suo padre in lei”. Non potete immaginare la mia emozione, ho realizzato allora di avercela fatta».

Qual è la missione che si è data accettando la guida delle ville venete?

«Serviva un cambio di passo su più fronti: da un lato un cambio di percezione della comunità in generale nei confronti dei proprietari di ville venete, visti spesso come chiusi al mondo esterno, sconosciuti come le loro ville nascoste dietro alte siepi o mura; dall’altro creare nei proprietari la consapevolezza di quello che è il potenziale loro e della loro villa, una vera casa viva, concetto che sarebbe poi diventato il mio mantra. Ancora: creare quel senso di appartenenza dei nostri soci ad Avv che con il tempo era andato purtroppo perduto e poi il rafforzamento del rapporto di conoscenza e collaborazione con le istituzioni regionali, imprescindibile per poter portare avanti azioni coordinate».

Le ville sono per il territorio un patrimonio innegabile. Ma appaiono come le Cenerentole del turismo. Chi deve fare cosa per sfruttarne le potenzialità?

«Qui si apre un fronte sconfinato. È imprescindibile un’azione a 360°, che veda la collaborazione sinergica di tantissimi attori diversi. La Regione dovrebbe inserire le ville venete in una strategia di valorizzazione più ampia, finanziando restauri, incentivando aperture al pubblico e promuovendole nei canali turistici ufficiali. Anche i Comuni hanno un ruolo importante: migliorare l’accessibilità, organizzare eventi culturali e creare itinerari tematici potrebbe stimolare un turismo più consapevole e diffuso sul territorio. I proprietari, tanto pubblici quanto privati, vanno poi coinvolti. E questo è quanto fa Avv, stimolandoli ad aprire le ville a visite, eventi, attività culturali o ricettive, trasformandole in risorse economiche oltre che culturali». Avv, in collaborazione con l’Irvv, organizza in particolare la Giornata delle Ville Venete, https://www.giornatavillevenete.it/, che si terrà quest’anno il 18 e 19 ottobre 2025. Attraverso le numerosissime esperienze proposte in villa, il visitatore da soggetto passivo diventa attore partecipe di un’esperienza in una villa aperta al pubblico e sempre visitabile, oppure in ville generalmente chiuse.

La Regione sta seguendo con attenzione la proposta del riconoscimento Unesco per tutte le ville venete, dopo le palladiane. Cosa ne pensa?

«Proposta interessantissima. Si tratta di un’azione non solo simbolica, ma concreta, che può contribuire in modo decisivo alla valorizzazione di un patrimonio diffuso, oggi ancora in parte trascurato. Il riconoscimento aiuterebbe a rafforzare la tutela di questi beni, a stimolare interventi di restauro e soprattutto ad attivare nuove forme di turismo culturale e sostenibile. Il percorso non sarà facile, andranno coordinati istituzioni e proprietari, dovrà essere elaborata una strategia chiara di gestione e promozione. Ma l’impatto positivo sul territorio, in termini culturali, economici e occupazionali, potrebbe essere enorme».

Villa Fini a Mira è stata distrutta dal tornado nel 2015 e mai più ricostruita. La burocrazia ha bloccato i proprietari. Di quello straordinario tesoro restano solo pietre. Pietre dello scandalo?

«Senz’altro pietre dello scandalo. Il problema della burocrazia in Italia diventa più grave di giorno in giorno. Quando poi si tratta della manutenzione di beni vincolati, tante e tali sono le complicazioni, le pastoie burocratiche, che spesso persino il proprietario animato dalle migliori intenzioni rinuncia. Il privato ha senz’altro l’onore di possedere un bene di prestigio, magari tramandato di generazione in generazioni. Il più delle volte ha però anche l’onere della manutenzione senza disporre, purtroppo, di troppe risorse. Dovrebbe quindi essere aiutato, non ostacolato, a mantenere un bene che fa parte del nostro patrimonio culturale nazionale».

Fra tutte le ville ce n’è una a cui è più legata?

«Villa Barbaro a Maser… è forse la prima villa veneta che ho conosciuto ancora da ragazzina. Per me ha qualcosa di speciale, la vedevo da sempre come una vera e propria casa, ne conoscevo da tempo i proprietari, l’azienda agricola... E poi l’estasi di fronte ai meravigliosi affreschi del Veronese ».

Qual è il suo rapporto con San Salvatore, luogo simbolo della sua famiglia?

«Fin da bambine ci venivamo con la mia famiglia a trascorrere parte delle nostre vacanze. La parola che per me più caratterizza quell’epoca è “libertà”. Eravamo libere di fare lunghe passeggiate in bici, a piedi; crescendo poi anche con i nostri mitici motorini Gilera e Garelli, due cinquantini per cinque sorelle, alla scoperta dei dintorni, un inebriante senso di avventura. Non avrei potuto immaginare di abitarci. Ora che ci passo la maggior parte del mio tempo, riconosco che mi dà un senso di sicurezza e di serenità. E’ come se quelle pietre, che tanto hanno visto e vissuto, fossero cariche di una straordinaria rassicurante saggezza».

***

Chi è

Isabella Collalto de Croÿ è nata in Germania, figlia primogenita del principe Manfredo di Collalto e della principessa Trinidad Castillo de Jura. Ha studiato alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Trieste e si è poi trasferita a Bruxelles dove ha svolto l’attività di interprete.Nel 2007, dopo la scomparsa del padre, è rientrata in Italia per gestire l’Azienda agricola Conte Collalto a Susegana (Treviso).

Dal 2019 è presidente dell’Associazione per le Ville Venete, ente che supporta le dimore storiche (oltre 4 mila quelle censite). Sposata con il principe Guillaume de Croÿ, vive a San Salvatore, il castello di famiglia.—

Riproduzione riservata © il Nord Est