Femminicidi, violenza e linguaggio: «Nei media serve un cambio di passo»
L’incontro al Fake News Festival di Udine: dai titoli alla vittimizzazione secondaria, cosa va cambiato. Presentato il progetto di Nord Est Multimedia

Il linguaggio di genere e la rappresentazione delle donne nei media è stato il tema del panel “Cambio di passo: come i media raccontano le donne” inserito nella seconda giornata del Fake News Festival. All’evento, organizzato in collaborazione con il Gruppo Nem nella Torre di Santa Maria a Udine, si sono incontrate Rubina Bon (giornalista del gruppo Nem) il collettivo Don’t Call Me Signorina, (Bicciato Elisa, Pitton Martina, Licata Federica, Mattiussi Marta, Trambaioli Beatrice), Marianna Bruschi ( giornalista, head of digital a Sky TG24) e Chiara Dalmasso (giornalista del Messaggero Veneto), introdotte da Arianna Facchini, assessora con delega alle Pari opportunità del comune di Udine: «Fino a quando daremo per scontate le asimmetrie – ha detto – qualunque intervento di contrasto non potrà essere efficace. I media hanno grandissima responsabilità e sono contenta che ci sia qualcuno, come le ospiti di stasera, che se la assume».

A Chiara Dalmasso il compito di dialogare e indagare con le ospiti temi molto importanti quali l’utilizzo delle parole declinate al femminile, il racconto sui media dei femminicidi, la violenza sui social, le pari opportunità, che hanno generato molti interrogativi nella platea.
«Uso il femminile perché è un segno della presenza delle donne nelle professioni. Poi c’è un problema di omogenizzazione nelle redazioni. Sarebbe importante che qualcuno “in alto” ci dicesse che il femminile va usato».
«La linea di Sky tg24 è quella di uniformarsi – ha sottolineato Bruschi, la lingua si abitua e evolve».
Il progetto di Nord Est Multimedia

Bon che attualmente si occupa di digitale ma in passato ha trattato casi di cronaca nera e giudiziaria ha raccontato del progetto “Cambio di passo” nato «in primavera da un gruppo di colleghe che si sono interrogate come le donne venivano raccontate sul gruppo Nem. Abbiamo deciso di avviare questo progetto di giornalisti e giornaliste dedicato al mondo femminile. Innanzi tutto non ci leghiamo alle date “per le donne” ( 8 marzo, 25 novembre) ci occupiamo di economia, salute, sanità, storie. Abbiamo scritto di violenza ostetrica, di donne che fanno professioni inconsuete, donne che hanno lottato per la salute dei loro figli».
Maggiore attenzione

Bruschi ha sottolineato che «il digitale siamo noi. Non credo sia la piattaforma che cambia per ricettività. Occorre adeguarsi alla velocità e i social sono una piazza di tante persone in cui i linguaggi si confrontano immediatamente e i cambiamenti con cui confrontarsi sono immediati. La questione è essere più attenti sulla piattaforma digitale. Importante è mettere contenuti di qualità».
A proposito di violenza sulle donne e su come viene raccontata dai media impossibile non ricordare il femminicidio di Giulia Cecchettin una storia terribile «in cui molte di noi hanno pensato: avrei potuto essere io» hanno sottolineato le componenti del Collettivo.
Titoli che fanno arrabbiare

«I titoli sono quelli che ci fanno più arrabbiare. Come scrivi, dà un punto di vista al lettore, sia sulle parole dette che non dette. Parole come “raptus” e “amore” riconducibili al racconto della violenza o “pentimento e vergogna” associato al carnefice, ad esempio, alimentano una narrazione distorta dove empatizzi con il mandante e non con la vittima. Anche le immagini e le foto degli articoli veicolano dei pensieri».
Il caso Cecchettin

Ancora Bon: «In redazione abbiamo vissuto la storia di Giulia Cecchettin a step. All’inizio pensavamo fosse una fuga di due giovani innamorati. La narrazione delle prime ore definiva Filippo un bravo ragazzo. Poi Filippo è diventato Turetta perché anche nei titoli ci siamo resi conto che non poteva più essere Filippo. Inizialmente pubblicavamo le foto di loro due assieme e poi abbiamo deciso di non farlo. La sua storia ci ha imposto una nuova narrazione con parole nuove e con la sorella di Giulia, Elena “patriarcato” ha assunto un nuovo significato». —
Riproduzione riservata © il Nord Est






