Emma Mazzenga, 92 anni e una vita di corsa: «La pista mi ha salvata. Non smetto, finché posso»
La professoressa veneta è l’atleta più longeva del mondo dell’atletica leggera: oltre 150 titoli, 4 record mondiali e una passione che non conosce età

Emma Mazzenga, a 92 anni lei si allena, corre e partecipa ancora a gare di atletica leggera. E spesso le vince pure: nei campionati Master ha collezionato più di 150 titoli a livello nazionale, europeo e mondiale: una stanza non basta per contenere coppe, medaglie e trofei. Da dove arriva questa passione per lo sport?
«Ho sempre avuto una certa propensione per le attività sportive. Ho cominciato dagli anni di liceo. Inizialmente avevo scelto il basket, ma poi ho cambiato: sono entrata nella squadra di atletica leggera dell’Università di Padova intorno al 1953. Ho capito di essere più portata per uno sport individuale. Anche se in realtà nel 1962 avevo smesso. Avevo una famiglia e ho cominciato a insegnare: ero professoressa di scienze».
Cosa l’ha spinta a ricominciare?
«Nel 1986, quando avevo 53 anni, il Cus riunì le vecchie atlete. C’era la possibilità di partecipare ai campionati Master, quelli dedicati agli atleti più anziani e longevi. Ritrovai le mie compagne di un tempo, ma loro, nel corso del tempo, hanno smesso. Io resisto ancora. E pensare che a 82 anni avevo deciso di dire basta con le gare. Poi una mia amica mi ha detto: “se continui ad allenarti, perché hai smesso di gareggiare? ”. Mi ha convinto».
Da quando è tornata in pista prova le stesse emozioni di un tempo?
«Direi di sì, ovviamente però variano a seconda delle gare. Quando vado all’estero e ci sono in palio titoli mondiali ed europei, aumentano. E poi la corsa mi ha aiutato anche nei momenti difficili. A 55 anni sono rimasta vedova con due figli di 18 e 23 anni, ma un mese dopo il lutto ero già in pista. È stato uno sfogo».
Cosa pensa le direbbe suo marito se potesse vederla così in forma?
«Di certo sarebbe meravigliato. Quando lui se n’è andato, avevo ricominciato da poco. Ma facevamo sport insieme: lui era maestro di roccia e ghiaccio. Perciò spesso facevamo arrampicate insieme ai bambini, anche se non a livello agonistico».
Ora invece l’agonismo è una componente centrale della sua vita. Si ritiene competitiva?
«Direi di sì. Nel 2012, a 79 anni, gareggiavo sui 400 metri, la mia specialità. Al traguardo arrivo appaiata con un’avversaria. Io in quarta corsia, lei in terza. Me la sento con il fiato sul collo, faccio un passo più lungo del solito e, per restare davanti, mi butto. Ho vinto di tre centesimi. Con la caduta mi sono lesionata la spalla, ma penso che lo rifarei (ride, ndr)».
Quando perde, invece, le pesa?
«C’è una sconfitta che ricordo bene, contro una rivale storica. Un’americana che mi batteva sempre sui 100 e i 200 metri, io ero più forte sui 400. Arrivate al traguardo si lancia lei, questa volta. Seconda per un decimo, ci rimasi male».
In ogni caso di successi ne ha raccolti molti. Al momento detiene 4 record mondiali e la sua forma è invidiabile: qual è il suo segreto?
«Oggi, rispetto a una volta, si può arrivare più facilmente oltre i 90 anni, però bisogna avere un po’ di buona volontà. Bisogna saper ascoltare il proprio corpo: io, per esempio, ho smesso di correre i 400 metri perché l’ultima volta, a Torun, in Polonia, ho fatto fatica e la dottoressa mi ha fatto notare che erano troppo impegnativi per la mia età. Ora mi dedico solo ai 60, ai 100 e ai 200 metri. L’importante, poi, è tenersi impegnati mentalmente e fisicamente. Andare fuori di casa e frequentare altre persone sono cose che aiutano molto».
Tutte attività che lei fa spesso. Come si svolge una sua giornata tipo?
«Mi alleno tre volte alla settimana: due volte allo stadio Colbachini, che però è distante, e una sull’argine, vicino a casa. Quando non sono in pista, passeggio per il mio quartiere, Guizza, oppure guardo un film nella multisala vicino a casa. A volte prendo il tram e raggiungo il centro».
È molto legata al suo quartiere, ha sempre vissuto lì?
«No, durante la guerra mi sono trasferita a Este. Non posso dire di aver sofferto lì, era più sicuro e vivevo nell’enorme casa di campagna dei miei nonni. Fu difficile, invece, quando mio padre, militare, si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e fu internato per due anni in Germania. Quando fu liberato lo seguimmo per qualche anno a Udine, dov’era stato trasferito, prima di tornare a Padova. Oggi apprezzo molto il quartiere, offre diverse opportunità, tra cui un gruppo di lettura a cui partecipo ogni mese. La lettura è un altro dei passatempi che mi tiene occupata: in questo momento sul comodino ho Anna Karenina, che avevo già letto anni fa: sono solo 700 pagine (ride, ndr), ma ne ho già rilette 580».
E poi, tra le passioni, c’è sempre lo sport. So che segue molto il tennis: quando l’abbiamo chiamata per l’intervista ci ha risposto: “Ci sentiamo tra un’ora, adesso devo guardare Sinner”.
«(ride, ndr) Quando gioca Sinner non posso essere disturbata: mi piace sia come giocatore sia come persona. Faccio il tifo per lui. Apprezzo anche Djokovic e Alcaraz, ma di certo sono meno simpatici di Jannik. In tv guardo pure nuoto, sci e pallavolo. Poi non può mancare l’atletica. Penso sempre a quanto sacrificio c’è dietro quelle medaglie».
A proposito di sacrifici: per mantenersi così in forma segue una dieta particolare?
«In realtà no. Però, arrivati alla mia età, è necessario mangiare meno. Mi preparo porzioni ridotte: si sa che avanzando con l’età si consuma meno. Per quanto riguarda pasta e riso, ne mangio massimo 30-35 grammi. Cerco di limitarmi, ma fosse per me avrei più appetito. A colazione, invece, mi concedo un panino con il prosciutto. Il caffellatte, sinceramente, mi mette malinconia. A pranzo cerco sempre di alternare carne e pesce. Per cena spesso uova e verdure cotte. Tra un pasto e l’altro, invece, sgranocchio qualche biscotto».
Per la sua forma eccezionale è anche oggetto di studio di università italiane e statunitensi. Che effetto le fa?
«Da ex studentessa di scienze biologiche e professoressa ne sono stata molto felice. Credo molto nella ricerca, sono abbonata a diverse riviste scientifiche. Nel mio caso studiano il deperimento neuromuscolare: ad aprile sono stata a Pavia, dove ho fatto prove di forza, di resistenza e un prelievo di muscolo».
Quando viaggia per studi e gare, viene accompagnata dalla sua famiglia?
«Fino a qualche anno fa andavo da sola. Sul posto c’erano però molte persone a gareggiare. Così, in gruppo, le trasferte diventavano un’occasione per visitare il Paese di turno: quando sono andata a Sacramento, sono rimasta negli Stati Uniti per un mese. Se dovessi scegliere un posto in cui tornare, però, direi l’Australia. C’è una vegetazione incredibile e paesaggi molto diversi dai nostri. Ma 23 ore di volo sono troppe. Ora, invece, ho pochi coetanei, corro contro il cronometro e mi trattengo all’estero solo per la competizione. Ma ho un’amica che mi accompagna, la stessa che mi ha convinto, una decina di anni fa, a continuare con le gare. Figli e nipoti sono impegnati con lavoro e studi, fanno più fatica».
Che rapporto ha con i figli?
«Un bellissimo rapporto, che non è mai cambiato, nemmeno dopo la morte di mio marito. È stato un periodo difficile, ma per fortuna io avevo un lavoro, non so cosa avrei fatto senza. Li ho seguiti e li seguo ancora molto. Spesso cucino per loro, ma non sempre. La settimana scorsa, per esempio, avevo troppi impegni».
Il prossimo impegno sportivo?
«Non faccio più programmi: vivo il presente, se non altro per scaramanzia! ».
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