
L’educazione affettiva a scuola serve a tutti, soprattutto ai ragazzi
Il parere di Sara Bakacs, psicoterapeuta e psicotraumatologa: la mancanza di un’educazione strutturata nelle scuole lascia i giovani senza strumenti emotivi e relazionali con il rischio crescente di violenza e relazioni tossiche
Regole più stringenti per l’educazione sessuale a scuola. Una proposta della Lega ne vieterebbe l’insegnamento alle scuole elementari e medie, consentendola solo alle superiori dietro autorizzazione delle famiglie. Immediata, si è accesa la discussione.
La levata di scudi al provvedimento è arrivata da più parti, le opposizioni politiche, ma anche il mondo sindacale e gli Ordini degli psicologi.
Tra i favorevoli, invece, chi vede nella misura uno strumento di lotta all’ideologia gender, mentre il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, ha replicato alle polemiche sul disegno di legge con queste parole: «I femminicidi non si combattono con l’educazione sessuale».
In un Paese come l’Italia, dove da cinquant’anni l’insegnamento dell’educazione affettiva arranca ed è lasciato alle singole iniziative e risorse degli istituti scolastici, la dottoressa Sara Bakacs, psicoterapeuta e psicotraumatologa a Roma EUR, analizza con lucidità il presente, fornendo una lettura che interseca gli aspetti sociali, culturali e formativi, fondamentali per la crescita delle giovani generazioni.
Educazione alla relazione, all’emotività e alla sessualità. L’Italia è ferma, nelle scuole italiane non esiste una “linea comune”, i progetti sono lasciati alla volontà dei singoli. Quali sono (se ci sono) gli effetti e le disuguaglianze generati da questo ritardo?
«Credo che le conseguenze di questo problema di lungo corso siano tangibili e abbiano coinvolto giovani di precedenti generazioni, così come quelle attuali. Gli effetti possono comprendere la disinformazione sui metodi contraccettivi, la scarsa consapevolezza del consenso e delle dinamiche relazionali sane, oltre a perpetuare stereotipi di genere dannosi.
I ragazzi troppo spesso non dialogano con adulti responsabili, per vergogna, tabù o perché li sentono troppo "lontani" dalla loro dimensione relazionale e sociale. Dunque, lasciati spesso a una solitaria esplorazione e scoperta, finiscono per formarsi attraverso i pari o usufruire di contenuti mediatici che negli anni sono cambiati (riviste, film, fino all'arrivo di internet e le sue innumerevoli possibilità esplorative senza limiti o censure), spesso inadeguati per la loro età e sviluppo.
Il ritardo italiano rispetto ad altri paesi europei più sensibilizzati genera disuguaglianze significative sia interne che internazionali. Mentre in nazioni come Svezia o Germania i giovani ricevono un'educazione sessuale strutturata e scientificamente accurata, i nostri ragazzi mostrano livelli inferiori di consapevolezza sui rischi e sulla prevenzione».
Il tema dell’educazione sessuale a scuola è tornato in auge in questi ultimi giorni: un emendamento propone di vietarla alle medie e farla alle superiori solo su consenso dei genitori. Esiste un legame diretto tra mancanza di prevenzione e violenza?
«Esiste certamente una correlazione significativa tra prevenzione e fenomeni di violenza. Quando parliamo di educazione sessuale, non ci riferiamo solo agli aspetti biologici, ma anche al rispetto dell'altro, al consenso e alla comunicazione emotiva. In assenza di un'educazione adeguata, i giovani sviluppano idee distorte sulle relazioni, influenzate da stereotipi mediatici o dalla pornografia, faticando a riconoscere comportamenti abusivi. Si espongono così non solo alla violenza, ma anche a comportamenti sprovveduti e disadattati nelle relazioni intime.
Senza gli strumenti cognitivi ed emotivi per comprendere la complessità delle interazioni affettive, molti ragazzi finiscono per riprodurre modelli relazionali problematici, incapaci di riconoscere i segnali di allarme o di comunicare efficacemente i propri bisogni e limiti. Questo vuoto formativo crea un terreno fertile per dinamiche di prevaricazione che, se non affrontate, rischiano di cristallizzarsi in pattern comportamentali duraturi».
Lei da anni si occupa di cura dei traumi, quanto incide il contesto culturale e sociale nel far emergere la violenza e nello stigmatizzarla?
Il contesto culturale e sociale è determinante sia nell'emergere della violenza che nella sua stigmatizzazione. La violenza si alimenta in ambienti dove persistono retaggi patriarcali, disuguaglianze di potere e stereotipi di genere rigidi, dove certi comportamenti vengono normalizzati o minimizzati. Il linguaggio che utilizziamo per descrivere le relazioni e la violenza stessa plasma la percezione collettiva, influenzando profondamente il modo in cui la interpretiamo e come rispondiamo ad essa, creando contesti di maggiore o minore tolleranza verso comportamenti abusivi.
Un’indagine Ipsos per Save the Children del febbraio 2025 riporta che su 800 adolescenti tra i 14 e i 18 anni, solo il 47% ha ricevuto un'educazione sessuale a scuola. Il dato più sorprendente dell'indagine però è che il 91% dei genitori intervistati ha affermato che vorrebbe l'educazione sessuale diventasse obbligatoria a scuola. Da cosa nasce questo bisogno delle famiglie e come può essere compensato dalle famiglie stesse in assenza di altri punti di riferimento?
«Questo desiderio da parte della famiglia, nasce dalla consapevolezza della complessità del tema e dalla difficoltà di molti genitori nell'affrontarlo adeguatamente. Le famiglie riconoscono di mancare spesso di strumenti linguistici appropriati, faticano ad aggiornarsi sui rischi digitali e possono trasmettere involontariamente i propri tabù. Adulti e giovani sembrano parlare linguaggi diversi, e l’adulto oggi più che mai sta vivendo un momento di deresponsabilizzazione e volontà di delegare al di fuori della realtà famigliare, aspetti educativi di primaria importanza.
Il genitore dovrebbe sforzarsi di avvicinarsi al mondo dei giovani mostrando autentica curiosità verso i loro interessi e le loro modalità comunicative. Questo significa ascoltare senza giudicare, anche quando i valori espressi sembrano distanti dai propri, porsi domande prima di offrire risposte preconfezionate e utilizzare occasioni quotidiane (un film, una notizia, una canzone) come spunti per conversazioni spontanee su temi delicati. Fondamentale è mantenere un atteggiamento sereno e aperto, evitando di trasmettere imbarazzo o disagio quando si affrontano argomenti legati alla sessualità. Il messaggio implicito dovrebbe essere che nessun tema è tabù e che il genitore è una figura di riferimento disponibile al confronto, capace di offrire supporto e guida senza invadere gli spazi di autonomia che l'adolescente necessita per costruire la propria identità».
Quali risorse è opportuno che la famiglia e la scuola attivino per aiutare bambini e bambine; ragazzi e ragazze a rapportarsi con rispetto al proprio corpo, al corpo dell’altro e ai desideri dell’altro, prendendo coscienza di cosa sia il consenso e di come gestire il rifiuto?
«Famiglia e scuola dovrebbero collaborare promuovendo un linguaggio preciso e non giudicante per parlare del corpo e delle emozioni fin dalla prima infanzia. È fondamentale insegnare il concetto di consenso attraverso esperienze quotidiane, fornendo modelli relazionali positivi dove anche il rifiuto viene gestito con rispetto. Gli spazi di dialogo sicuri permettono di esprimere dubbi e difficoltà, mentre l'integrazione dell'educazione digitale con quella relazionale diventa sempre più necessaria. L'approccio deve adattarsi all'età e al livello di sviluppo, costruendo gradualmente competenze emotive e relazionali adeguate».
Educazione al rispetto e all’equità di genere, conoscenza della contraccezione e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, contrasto alla violenza. In che modo il nostro Paese dovrebbe quindi comprendere e tradurre questi principi in pratiche educative efficaci e sostenibili nel contesto scolastico e fuori?
«Ribadisco nuovamente che lo sviluppo della sessualità è parte del naturale processo evolutivo e non dobbiamo agire come se non esistesse o fosse retaggio esclusivo dell’adulto. Considerare questa realtà è essenziale per creare percorsi educativi che utilizzino linguaggi e modalità in sintonia con il mondo dei ragazzi, evitando l'errore di imporre una visione esclusivamente adulta che, per quanto ben intenzionata, rischia di non intercettare i reali bisogni formativi dei giovani.
Per tradurre i principi educativi in pratiche efficaci, nel nostro paese si dovrebbe in prima istanza formare adeguatamente gli insegnanti e coinvolgere le famiglie. Sarebbe importante anche promuovere lo sviluppo di interventi basati su evidenze scientifiche, valutandone sistematicamente l'efficacia e adattandoli ai risultati delle ricerche più recenti sul benessere psicosessuale degli adolescenti.
È essenziale superare la mera informazione biologica per includere aspetti emotivi, relazionali ed etici, adattati ai diversi contesti socioculturali. L'efficacia dipenderà dalla continuità degli interventi e dalla capacità di creare un linguaggio comune tra scuola, famiglia e società».
In che modo è cambiato il rapporto delle giovani generazioni con la sfera della propria intimità e nell’interazione con l’altro sesso, considerando il ruolo che tecnologie e spazi social stanno avendo in tal senso (pensiamo alla dipendenza affettiva, al revenge porn, al sexting online, allo stalking)?
«Il rapporto dei giovani con l'intimità è profondamente trasformato dalle tecnologie digitali, che hanno modificato la percezione della privacy, i tempi della comunicazione e l'esposizione a modelli relazionali spesso irrealistici. I fenomeni citati, come il sexting, il revenge porn e lo stalking digitale rappresentano l'aspetto problematico di questa evoluzione. La dipendenza affettiva viene amplificata dalla possibilità di controllo costante offerta dai social, mentre la sessualizzazione precoce è alimentata dall'accesso facilitato a contenuti non adatti. I giovani navigano situazioni complesse senza aver sviluppato adeguate competenze relazionali e critiche, rendendo imperativo un aggiornamento e adeguamento degli strumenti educativi a questo nuovo scenario».
Recenti fatti di cronaca, accaduti nel Trevigiano, hanno visto tre tredicenni violentate dai compagni quattordicenni a scuola. Non sono vicende isolate. Colpisce la “tenera” età delle persone coinvolte, dei preadolescenti. Esiste una “precocizzazione” della violenza? Ci aiuta a comprendere meglio?
«I casi di violenza tra giovanissimi riflettono diversi fattori convergenti più che una semplice "precocizzazione". Sono le conseguenze di questa anticipazione dell'esposizione a contenuti sessualizzati attraverso media e internet, uno sviluppo insufficiente della cultura del consenso e una maturità emotiva che non tiene il passo con l'accesso a esperienze complesse. Questi episodi evidenziano un divario tra sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo. I preadolescenti possono sviluppare curiosità e pulsioni sessuali prima di aver maturato la capacità di gestirle in modo sano e rispettoso, questo deve essere tenuto in considerazione nella promozione di interventi educativi precoci che promuovano empatia e rispetto dei confini.
Lo sviluppo della sessualità rappresenta una componente fisiologica del processo evolutivo umano che richiede un accompagnamento educativo equilibrato. Gli adolescenti necessitano di essere sostenuti in questo percorso con un approccio che non stigmatizzi né censuri, ma che integri il rispetto della loro naturale esplorazione con strumenti cognitivi ed emotivi adeguati. L'obiettivo dovrebbe essere duplice: da un lato, permettere la scoperta positiva di una sessualità sana e consapevole, dall'altro, rafforzare la capacità di riconoscere e rispettare i confini propri e altrui, e di proteggersi da potenziali rischi».
La violenza sessuale è un’esperienza traumatica, quali aspetti influenza della vita dell’individuo che l’ha subita? Come può essere recuperato colui che l’ha agita?
«La violenza sessuale impatta molteplici dimensioni della vita: dalla sfera fisica con disturbi somatici e alterazioni del sonno, a quella psicologica con il possibile sviluppo di un disturbo post-traumatico e depressione. Gli aspetti relazionali sono gravemente impattatati e si manifestano con difficoltà a fidarsi degli altri e la comprensibile paura dell'intimità, arrivando a intaccare l'identità stessa, con sentimenti di colpa, vergogna, impotenza e rabbia.
Per chi ha agito violenza, il percorso dovrebbe concentrarsi sulla presa di coscienza della responsabilità, sullo sviluppo di empatia e sulla comprensione delle dinamiche di potere. Il recupero dipende sempre dalla volontà dell’individuo e la sua capacità di comprendere l’atto commesso, senza questi requisiti diventa certamente difficile effettuare un lavoro risolutivo».
Dandone lettura psicologica e neuroscientifica: qual è la definizione di violenza e quale quella di amore?
«Da una prospettiva integrata, la violenza si configura come un'imposizione che viola i confini altrui, caratterizzata neurobiologicamente dall'attivazione di circuiti legati alla dominanza e dall'inibizione delle aree cerebrali deputate all'empatia. L'amore, invece, crea uno spazio di sicurezza e rispetto reciproco, coinvolgendo l'attivazione dei circuiti della ricompensa e dell'attaccamento, promuovendo empatia e regolazione emotiva. Mentre la violenza rappresenta una modalità disfunzionale di gestione delle emozioni negative, l'amore sano implica la capacità di riconoscere e rispettare i confini propri e altrui».
Riproduzione riservata © il Nord Est





