Sonia Anelli: «Io, alla guida del Parco delle Dolomiti. Ecco come curerò la montagna fragile»

Da gennaio è direttrice dell’area naturalistica di 32 mila ettari nel Bellunese: «Sogno di lasciare un luogo che renda orgogliosi i veneti». Forbes l’ha indicata tra le 100 donne italiane più influenti e di successo nel 2025

Sabrina Tomè
Sonia Anelli nel ritratto di Massimo Jatosti
Sonia Anelli nel ritratto di Massimo Jatosti

All’inizio furono i parchi di Parma e Piacenza, poi la guida di quello di Pantelleria e ora la direzione di quello delle Dolomiti Bellunesi. Sonia Anelli, il suo è un percorso professionale che richiede conoscenze scientifiche e abilità manageriali. Cosa l’ha spinta a scegliere per lavoro la “gestione” della natura?

«Sono una biologa ecologa, l’ecologia studia l’ambiente e le interazioni fra tutti gli esseri viventi e non. E a me interessa molto questa relazione complessiva. Nel ’98 l’allora parco regionale dei Cento Laghi cercava una figura junior che seguisse la conservazione ambientale; intendeva inoltre formarla sul campo, una cosa all’epoca all’avanguardia. Io, 27 anni, avevo appena finito il mio tirocinio: diciamo che ho avuto l’opportunità di essere al al posto giusto nel momento giusto. Certo, nell’immaginario dei naturalisti e dei biologi, lavorare con un parco è un sogno. Ho trovato un ambiente giovane, con direttori lungimiranti che mi hanno lasciato autonomia, facendomi crescere professionalmente. C’è anche da dire che all’epoca la burocrazia non era così asfissiante».

Poi è arrivata la direzione del Parco di Pantelleria. In che modo la sua esperienza in un contesto insulare la sta aiutando oggi in un ambiente montano?

«Pantelleria non è un’area marina protetta, ma un parco nazionale terrestre, molto focalizzato sul tema natura, agricoltura, uomo. Per cui per il Parco delle Dolomiti non ho dovuto iniziare da zero. Pantelleria, essendo ambiente piccolo e circoscritto, mi ha aiutata molto nell’interazione con le comunità locali, con le associazioni, con gli enti territoriali. Ho probabilmente realizzato appieno il loro sostegno, quando sono andata via. E poi c’è un altro insegnamento, più generale, che ho ricevuto».

Quale?

«In un’isola si impara la pazienza, si capisce che ci sono cose che non si possono governare. Che se c’è il mare alto la nave non arriva, che se c’è scirocco forte l’aereo non atterra: un insegnamento per chi, come me, invece vorrebbe poter governare tutto».

Ha fatto riferimento al rapporto con le comunità locali: com’è quello con la Bellunese?

«Sono stata nominata alla guida il primo gennaio, ma purtroppo ho avuto tre mesi di stop perché a Pantelleria mi sono rotta la rotula. È da marzo che sono sul posto per cui ho ancora molte persone, associazioni e realtà da incontrare e conoscere».

Lei è un medico al capezzale di un paziente malato. Le nostre Terre Alte sono fragili, colpite da patologie insidiose: cambiamento climatico e frane, bostrico, overtourism, spopolamento. Quali la spaventa maggiormente?

«Non userei il verbo “spaventare” perché chi è spaventato non ragiona lucidamente. Parlerei semmai di preoccupazione. Diciamo che quello che mi preoccupa meno, e il meno è tra virgolette, è il bostrico. È già presente nella foresta e prende il sopravvento quando essa si indebolisce. Da un punto di vista estetico fa molto effetto, fa male, vedere il bosco colpito: ma il bostrico provocherà un cambiamento della foresta e altre specie prenderanno il sopravvento. È ovvio che in alcuni punti occorrerà intervenire, laddove c’è una situazione di pericolo».

Overtourism.

«Lì possiamo intervenire gestendo i flussi, cercando di distribuirli in altre zone. È quello che stanno facendo altri parchi, come ad esempio quello delle Cinque terre con i sentieri a numero chiuso, o a senso unico, o a pagamento».

Cambiamento climatico.

«Ecco, questo è più difficile da gestire. Pensiamo alle frane, non possiamo puntellare le crode. Se si parla con i geologi, loro dicono che le montagne sono destinate a diventare pianura. Sto estremizzando naturalmente, ma il cambiamento climatico sta accelerando percorsi che probabilmente avrebbero avuto decorso più lento. In alcune zone non possiamo fare molto, in altre dobbiamo invece imparare ad ascoltare gli esperti. C’è poi un’altra cosa che preoccupa sul lungo periodo e di cui non ho la ricetta: lo spopolamento. Si tratta di processi che vanno gestiti tra più enti per invogliare i giovani a non andarsene. Il Parco cerca di farlo sostenendo professionalità legate al mondo della natura. Certo, servono le infrastrutture e occorre che tutti gli enti pubblici pensino insieme. Ma il territorio bellunese ha potenzialità notevoli».

Come può il Parco contribuire alla cura?

«Ci stiamo prendendo cura delle specie per mantenere in equilibrio l’ambiente dal punto di vista naturalistico, attraverso il monitoraggio. Il Parco racchiude in 32 mila ettari un terzo di tutte le specie floristiche italiane. Abbiamo una responsabilità che non è banale. E c’è una ricchezza di specie anche faunistica. C’è il ritorno del lupo che dal punto del vista dell’uomo sta creando allarmismo, ma che è importante dal punto di vista naturalistico perché va a riequilibrare tutta la rete trofica. Stiamo tutelando anche la biodiversità, cercando di gestire le specie aliene. La cura è poi anche lo sfalcio, la manutenzione dei sentieri, la cogestione delle malghe».

Un conoscitore della montagna, lo scrittore Matteo Righetto, ha detto che le frane sono il grido di aiuto della montagna e che tutti dobbiamo ascoltarlo. Come, secondo lei?

«Prendendosi cura ciascuno del proprio pezzettino, di quello che si ha. E cercando di capire che i meccanismi della natura non sono tutto bianco o nero, ma molto più complessi. La natura non va pensata solo in funzione di sé stessi, dell’uomo. Quell’ambiente non è lì per noi, ma siamo noi a doverci adeguare. Faccio un esempio: non possiamo permetterci di andare in montagna in infradito, prendersi cura di un ambiente significa affrontarlo in modo corretto. E non mettere in difficoltà altre persone».

Sono in arrivo le Olimpiadi Milano-Cortina: è più fiduciosa o timorosa per le ricadute sul territorio?

«Eventi come questi hanno una ricaduta molto pesante in termini di uso e trasformazione del territorio. Potrebbe essere che le ricadute positive ci siano in zone non direttamente coinvolte dal tourbillon delle trasformazioni. Per esempio persone che vogliono soggiornare nei centri olimpici ma non trovano posto, potrebbero scegliere località vicine scoprendo una montagna meno caotica, più genuina. Quanto ai luoghi specifici delle Olimpiadi, mi chiedo se nel lungo periodo, questi, che hanno subito gli impatti ambientali maggiori, saranno quelli ad avere effettivamente i benefici maggiori».

Il sogno che vorrebbe realizzare nella gestione del Parco.

«Che le comunità locali siano orgogliose di far parte e di essere il Parco, al di là dei vincoli che esso prevede».

C’è un posto segreto nell’area del Parco che ha scelto come luogo d’elezione per passeggiare, riflettere, riposare?

«Non ho ancora un luogo del cuore. Ma lo sono già queste montagne».

Forbes l’ha indicata tra le 100 donne italiane più influenti e di successo nel 2025. Vive questo prestigioso riconoscimento come una gratificazione per il lavoro fin qui svolto o come una responsabilità per quello che deve ancora fare?

«Entrambe le cose, un riconoscimento per il lavoro di questi anni e lo sprono per quello ancora da fare. Io sono una perfezionista, sempre alla ricerca di fare meglio. Cerco di essere curiosa e onnivora, perché gli spunti arrivano magari da altri settori e poi si rimodulano sul lavoro che si deve fare».

In vacanza dove?

«In montagna: Dolomiti e Appennini, ma un salto a Pantelleria lo farò sicuramente». 

***

Chi è

Sonia Anelli: direttrice del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi da gennaio 2025 (istituito nel ’90, è patrimonio Unesco), del Parco Nazionale Isola di Pantelleria da luglio 2021 a dicembre 2024.

Indicata da Forbes tra le 100 donne che, nel 2025, stanno contribuendo al progresso -economico e non- dell’Italia. Ecologa, un Master in Gestione degli Enti Locali e un’esperienza ventennale nelle Aree protette in diversi settori: progettazione europea, educazione ambientale, conservazione della natura, turismo e sostenibilità. Ha iniziato la sua carriera nel Parco Regionale dei Cento Laghi, per proseguire nell’Ente Parchi del Ducato.

Riproduzione riservata © il Nord Est