Come la nascita di un figlio influenza le carriere (e gli stipendi) di donne e uomini
I dati dell’Inps rivelano come per le madri la maternità coincida con una penalizzazione in termini di reddito, progressione di carriera e partecipazione al mercato del lavoro. E i padri? Per loro il bebè rappresenta un “child premium”

Effetto “child premium” per i lavoratori, mentre per le donne è “child penalty”. Lo dicono gli studiosi, lo raccontano i numeri del Rapporto annuale dell’Inps sui temi del lavoro e delle pensioni. Stipendi, opportunità di crescita e di futuro professionale dipendono (anche) dalla presenza dei figli.
Lo snodo capace di fare la differenza è, ancora una volta, quello della maternità. Cercata, attesa, voluta, eppure anche capace – stipendi e contratti alla mano – di fare la differenza. In positivo per gli uomini, in negativo per le donne. E’ l’impatto della genitorialità sulle traiettorie lavorative di padri e madri che i dati dell’Inps mettono nero su bianco, tracciando uno scenario che ancora una volta penalizza l’universo femminile.
«La nascita di un figlio comporta spesso, per le madri, una significativa penalizzazione in termini di reddito, progressione di carriera e partecipazione al mercato del lavoro, a differenza dei padri, le cui traiettorie occupazionali restano perlopiù invariate», scrivono Alessandra Fenizia, Monica Langella e Valeria Zurla nello studio “Opportunità lavorative e family-friendliness: come il settore e le aziende influenzano la child penalty” allegato al Rapporto dell’Inps, «Avere un figlio si traduce per le donne in stipendi e prospettive di carriera ridotte e la dimensione di queste riduzioni sembra dipendere in modo rilevante non solo dalle caratteristiche dell’azienda in cui lavorano al momento della nascita dei figli, ma anche da quelle delle imprese in cui avrebbero potuto proseguire la propria carriera».
Un ruolo cruciale è giocato dalla composizione familiare: mentre le madri con un solo figlio riescono a recuperare interamente la perdita retributiva entro tre anni dalla nascita, per quelle con più figli il percorso è più lungo e discontinuo, segnato da ulteriori cali in corrispondenza di nuove maternità.

Mentre per i padri (a destra nel grafico) la traiettoria retributiva rimane crescente e i gruppi legati al numero di figli in famiglia sono sostanzialmente indistinguibili (le linee sono infatti quasi perfettamente sovrapposte), per le donne (a sinistra) l’effetto cumulativo delle successive gravidanze colloca le madri su sentieri retributivi molto diversi in base al numero di figli.
«Mentre le donne con un solo figlio recuperano completamente lo shock negativo a partire dal terzo anno post nascita del primogenito, per le altre si assiste a nuove “cadute” tra i due e tre anni successivi, in corrispondenza presumibilmente della nascita degli altri figli», spiegano nella relazione dell’Inps, «Ciò rende, pertanto, sempre più lento il percorso di recupero, tanto che il momento in cui il coefficiente torna su valori positivi slitta in avanti, fino a determinare una situazione in cui le donne con due figli recuperano intorno al quarto anno successivo alla nascita del primo figlio, mentre quelle con tre o più figli oltre il quinto anno».
Anche l’età al primo figlio introduce elementi di complessità: le madri under 35 affrontano un rischio maggiore di uscita dal lavoro (25% contro il 12% delle over 35) ma, se restano occupate, recuperano più rapidamente.
Stando ai dati dell’Inps e alla loro lettura, le donne più giovani, all’inizio della loro carriera, sono in un momento caratterizzato da maggiore eterogeneità nelle posizioni occupate: la nascita di un figlio può determinare un processo selettivo in cui chi ha prospettive più solide riesce a mantenere la propria posizione, mentre le altre rischiano di dover abbandonare. Le madri più attempate, per contro, generalmente hanno carriere più stabili.
Quanto agli uomini, quelli che diventano padri in età più giovane si collocano in un sentiero di crescita della retribuzione più sostenuto, mentre gli altri seguono un percorso più piatto. «Ciò può essere legato al fatto che, essendo più giovani, hanno maggiori opportunità di carriera nei periodi successivi rispetto a quelli più anziani», si legge nella relazione.
Importanti diseguaglianze si riscontrano anche a livello territoriale, con un evidente svantaggio per le lavoratrici del Mezzogiorno, dove la probabilità di uscita dal mercato del lavoro in seguito alla nascita di un figlio raggiunge il 26%, contro il 18% registrato al Nord.
Infine il settore occupazionale incide in modo decisivo: nel settore pubblico, più protetto e regolamentato, la penalizzazione salariale dopo la maternità è pari a 14 punti logaritmici, meno della metà rispetto ai 31 punti rilevati nel settore privato.
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