Carolì: «I muri sono la mia tela, do spazio e voce a donne e bambini»

La street artist Carolina Blanco,: «L’arte è salvezza, quella di strada è per tutti e a portata di tutti. I lavori che faccio sono le emozioni che ho, voglio stare bene e far stare bene»

La redazione
Carolina Blanco nel ritratto di Massimo Jatos
Carolina Blanco nel ritratto di Massimo Jatos

Carolì, street artist donna. Una mosca bianca in un movimento artistico che dovrebbe o vorrebbe essere all’avanguardia anche sotto il profilo sociale. Perché siete così poche?

«Siamo pochissime se ci riferiamo al Veneto, cinque, e ci conosciamo tutte. Siamo molto unite tra noi. In realtà, considerando l’Italia, siamo tantissime: penso per esempio ad Alice Pasquini, Alessandra Carloni, Capobianco, Rame, solo per citare i nomi più noti. Con alcune siamo amiche, altre vorrei conoscerle. Un invito che faccio spesso andando nelle scuole è l’invito a far parte di questo movimento: nuove generazioni di artiste e di artisti».

Le donne possono portare qualcosa di diverso nel movimento?

«Noi donne portiamo sempre qualcosa in più, in qualsiasi settore. Abbiamo una sensibilità diversa che apporta, anche a livello artistico, un plus».

Perché lei ha scelto la strada della strada?

«L’arte di strada è una scelta fatta tardi nella mia vita, a 29 anni. Ed è avvenuta per caso, quando vivevo a Roma e dopo l’università a Padova. Ho incrociato degli artisti inglesi che stavano facendo un muro; sono rimasta incuriosita da questo strumento artistico così affascinante. Era la prima volta che vedevo usare la bomboletta, ho chiesto informazioni su dove comprarla e da lì ho iniziato».

E ha continuato.

«L’arte di strada nasce nella strada, è a portata di tutti e per tutti. L’adrenalina che ti dà il muro, che è un foglio gigante, è immensa: ti dà l’idea di riuscire a vedere in grande. Puoi osservare i tuoi lavori crescere sul muro, una tela tutta particolare. Con il muro lavori sotto gli occhi e il giudizio degli altri, nel bene e nel male. È un’emozione incredibile che non ti abbandona mai: finché avrò respiro avrò il pennello o la bomboletta in mano, sulla tela o sul muro».

Dica la verità, mamma e papà l’avrebbero voluta con un lavoro tranquillo, dietro la scrivania.

«Già da piccola, a 8 anni, avevo predisposizione per l’arte sul muro perché coloravo il cortile di casa mia. Poi papà ci dava una mano di bianco, ma così i miei genitori mi davano la possibilità di sognare. Quando poi l’arte è diventata un lavoro, mi hanno appoggiata. E comunque, prima di vivere d’arte, ho sempre accompagnato tale passione con un’altra occupazione. Studiavo, ma lavoravo, per avere le spalle coperte. Poi, essendo già adulta, non potevo permettermi il salto nel vuoto e mi sono mossa in modo graduale. I miei mi hanno accompagnata vedendo l’entusiasmo, la gioia e i cambiamenti radicali nella mia anima. Erano e sono orgogliosi di me».

Ora che ha una bimba piccola ha mai ripensato a questo tipo di lavoro?

«Prima di tutto: mia figlia è il mio capolavoro. È lei l’opera più bella che abbia mai fatto. Voglio nutrire e seminare in lei tutto il bello che c’è, artistico e non. Ed essere un genitore è un’arte, credo la più difficile».

E se sua figlia vorrà fare l’artista?

«Qualunque strada sceglierà, io l’appoggerò. Anzi, sto lavorando anche per lei, affinché questa attività abbia la giusta dignità retributiva e il giusto valore economico. Quello dell’artista è un lavoro a tutti gli effetti, con moltissimi sacrifici e moltissimo studio. Mi auguro, per quando lei sarà grande, di aver dato insieme ai miei colleghi un contributo. Se lei sceglierà questa strada, io l’appoggerò mettendola di fronte alla realtà: non è tutta magia, ci sono momenti di fallimento, di dolore, di porte chiuse. Ma sono questi aspetti, così difficili, che fanno nascere i talenti. Il dolore ti scolpisce per imparare a uscirne, acquisisci maggiori strumenti di sensibilità. Le opere più belle le ho create nei momenti più duri della mia vita. La forza dell’arte risveglia in te risorse che non immaginavi di avere. L’arte non è mai vana, ti aiuterà a diventare un adulto sognatore».

E va sostenuta.

«Il mondo ha bisogno dell’arte. L’artista va sostenuto non solo gratificandolo, ma anche retribuendolo equamente. L’arte va rafforzata nelle scuole perché dà un senso di benessere emotivo, assicura risorse che rendono la vita più bella. E a volte è àncora di salvezza».

Ha lasciato l’Argentina a 15 anni, cosa si è portata da quella terra?

«L’emigrazione è sempre un cambiamento molto forte nella vita di una persona; lasciare la propria terra ti sradica anche se l’arrivo è in un posto, come l’Italia, che ti accoglie benissimo e ti dà tanto. Con il tempo capisci che non è perdere le radici, ma diventare cittadini del mondo. La casa è dove senti di stare bene. Io mi sono portata un po’ di nostalgia, è naturale. Però la partenza mi ha arricchita aiutandomi a diventare artista: lavoro moltissimo sul ricordo dell’infanzia. La mia terra è sempre presente in me. Ma aver emigrato mi ha aperto la mente a 360 gradi. La vita è un dono che va vissuto in tutte le sue sfaccettature, con tanto coraggio; ti toglie, ma ti dà anche tantissimo».

A proposito del “suo” Sudamerica, i muralisti come Rivera o Orzoco arrivano da lì. Come l’hanno influenzata?

«I muralisti messicani sono venuti a Padova per studiare la cappella di Giotto. Io ora abito in questa città: non so se sia una coincidenza, ma destino sicuramente sì».

Chi è il suo padre artistico?

«Non ho un unico padre o madre artistica, ma sicuramente Chagall, Van Gogh, Kandinskij. E per la forza del colore il momento fauves. Quanto agli street artist ce ne sono moltissimi: Basquiat, direi».

«I graffiti sono stati utilizzati per dare inizio a rivoluzioni, fermare le guerre, e in generale sono la voce delle persone che non sono ascoltate», ha detto Banksy. I suoi lavori sono così?

«La donna e l’infanzia sono i miei fili conduttori, mi toccano personalmente. Le donne perché non sono valorizzate come dovrebbero essere; i miei lavori sono una voce contro la violenza. L’infanzia perché bisogna tutelare i bimbi e investirci tantissimo, seminando in loro il bello. Il mondo ha bisogno di futuri adulti forti, ma anche sensibili e sognatori. Ed è quello che sto cercando di trasmettere sia come genitore che con i miei lavori».

Riflessione o emozione: cosa preferisce suscitare in chi si ferma davanti a un suo muro?

«Emozione. Le mie opere sono parte di me, rispecchiando le mie emozioni. Faccio arte per stare bene e fare stare bene gli altri».

L’impegno sociale della street art: non ritiene sia stato disatteso con riferimento ai grandi temi attuali? A Padova, città della Biennale di Street Art, un solo artista, Any, ha dato voce all’eccidio dei bimbi palestinesi.

«Il gesto artistico, compresa la street art, è la risposta concreta a un’urgenza espressiva dell’artista: non sempre e non necessariamente si traduce nella denuncia di problematiche politiche e sociali; altrimenti saremmo tutti uguali. La Biennale di Street Art è un evento bellissimo, che dà la possibilità a noi artisti locali di conoscere quelli internazionali, con un importante scambio culturale. Sono grata: quest’anno ho partecipato e mi ha arricchito moltissimo. Il tema era il sogno, ho portato il mio: che mia figlia e tutti i bambini possano sognare e raggiungere oniricamente le persone che non ci sono più».

Per la riqualificazione urbana meglio la street art o i grattacieli di Boeri?

«L’una e l’altra: l’importante è che sia la più adeguata per il luogo. L’architettura è una forma artistica, è la nostra cugina». —

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Chi è 

Carolina Blanco, in arte Carolì, nasce nel 1986 a Buenos Aires. A quindici anni emigra con la famiglia a Padova, città di origine della mamma.

Laureata a Padova, indirizzo Dams, consegue a Milano un master in Arteterapia. Sta ora ultimando il corso di laurea magistrale in storia dell’arte a Padova. Ha partecipato all’ultima Biennale di Street Art di Padova.

Diverse le opere nel territorio padovano: la serranda del Caffè Margherita in Piazza della Frutta, il murale di quaranta metri nel park Ipercity di Albignasego; sta ora lavorando un grande park padovano. Donne e bimbi sono i suoi soggetti preferiti.

 

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