Antonia Sautter, la stilista veneziana dietro il Ballo del Doge e l’arte dell’artigianato

Stilista, imprenditrice, è l’ideatrice del Ballo del Doge, evento clou del Carnevale. Nel 2026 sarà “More Amore”. «Il lavoro è missione: non smettiamo di sognare»

La redazione
Antonia Sautter
Antonia Sautter

«Sono sempre in movimento. È vita. La mordiamo, la afferriamo. Non ne abbiamo mai abbastanza». Antonia Sautter mette da parte per un attimo i bozzetti dell’invito del Ballo del Doge, si fa strada tra i tessuti e parte dall’inizio di una storia che parla di famiglia e sogni. Sautter, veneziana, è stilista e ideatrice dell’evento più esclusivo del Carnevale di Venezia.

Sautter, ha creato a Venezia qualcosa che non c’era, che è diventato l’evento più iconico del Carnevale. Quanta fatica e quanta creatività investe?

«Non c’è fatica quando sei animata dalla gioia data dall’atto creativo. Fino a qualche minuto fa ero in riunione con i miei creativi per parlare di invito del Ballo del Doge, fatto a mano con velluti stampati. C’è energia che deriva da questo scambio: spesso ci sono anche grandi efforts (sforzi), ma vanno al di là della fatica».

Come fosse una sportiva?

«Esatto, quando uno sportivo si allena o partecipa a una gara è animato dalla voglia di vincere. La mia è voglia di riuscire a colpire con la creatività, è una sfida con me stessa. È un’energia che non avrà mai fine: anche quando io non ci sarò più, questo circolo continuerà».

Come è nato il Ballo del Doge?

«Parte tutto da un piccolo negozio, che avevo aperto con un’amica. Vendevo accessori, copricapo, mantelli che creavo la notte. Mi ha ispirato mia madre, era la vera artista: cuciva in casa. In quel negozietto, un giorno, entrò Terry Jones dei Monty Python: stava scrivendo un programma per la Bbc».

Su cosa?

«Sulla Quarta crociata. Bisognava progettare costumi e le scenografie di una grande festa con il Doge Enrico Dandolo, cavalieri e cortigiane. Non sapevo cosa mi stesse aspettando, ma non mi sono tirata indietro. Fu un grande successo. Alla fine delle riprese il regista mi disse: “Brava Antonia, questo è il Ballo del Doge”. E lì ho capito che sarebbe stato il mio futuro, che questo mestiere mi piaceva ed era un gioco. Era il 1994».

La figura dell’artigiano nell’immaginario comune è molto stereotipata, spesso la si associa a qualcosa di passato. Lei come si descrive e come vorrebbe sfatare questo stereotipo?

«L’artigianato è arte. Dedizione e amore. Prende le distanze da quella rappresentazione narcisistica continua dell’epoca in cui stiamo vivendo. È un lavoro introspettivo, in solitaria, fatto di prove e di ore passate a fantasticare. Oggi siamo circondati da copie selvagge di ogni cosa, il mercato mangia tutto».

C’è un modo per invertire la rotta?

«Educare veramente. L’artigiano si sente solo, avrebbe davvero bisogno di aiuto. Quando passo ore con loro, mi carico di energia, è uno scambio virtuoso che arricchisce. Viviamo di superficialità, i ragazzi non sono più interessati perché non è un mestiere narcisistico. Venezia potrebbe essere la regina dell’artigianato, se si riuscisse realmente ad andare oltre le parole. Il problema è che tutto è stato commercializzato al punto che la piccola bottega artigianale ha costi alti, che le persone non riescono più a permettersi».

Che cosa fare per coinvolgere i giovani?

«Bisognerebbe riuscire a salvare quelle parti di città ancora non turistificate, dando soluzioni a questi ragazzi, soprattutto ai giovani ma anche i meno giovani, dando loro la possibilità di lavorare. La chiave è educare e informare, prendersi cura».

Tra gli stereotipi c’è anche quello di una Venezia senza via di uscita, soffocata dall’overtourism, bloccata dallo spopolamento. Lei con il suo lavoro prova a dimostrare il contrario, anche con il suo team. Che cosa ne pensa?

«Stiamo perdendo il genius loci della città. Il rischio che diventi una Venezialand non è un luogo comune. Qualcuno fa già, ma serve ancora più determinazione e dedizione. Nel mio team ci sono tanti giovani, ne sono orgogliosa. Ma anche la vecchia generazione, che lascia il know how con la soddisfazione che quello che è stato costruito continuerà. Penso che il lavoro sia una grande famiglia e ci si preoccupa anche per il loro futuro. I miei dipendenti sono quasi quaranta».

Quanto Venezia la ispira e quanto Venezia dovrebbe ispirarsi a lei?

«Venezia avrebbe bisogno veramente di linfa energetica, è vero, un po’ dovrebbe ispirarsi a me (ride, ndr). Ha bisogno di impulsi, di giovani che decidano di stare per sempre e dar vita qui al la loro attività. Ma bisogna dare loro i mezzi e creare la condizioni. Questa è la vera sfida. Forse sono ancora una romantica, però...».

Però?

«Un mondo che si dedica alla bellezza è meno incline alla cattiveria. Venezia dovrebbe essere la capitale degli artigiani creativi. Lo ribadisco, l’artigiano è un artista».

Un piccolo spoiler sul prossimo Ballo del Doge?

«Il tema sarà l’amore in tutte le sue sfaccettature, infatti avrà luogo il 14 febbraio. Di amore si è detto di tutto, è difficile affrontarlo in modo originale. Posso dire che non ci sarà il colore rosso, ma tutti gli altri. Il sipario verrà sollevato da misteriose creature, ma non posso dire altro».

Il suo lavoro in tre parole?

«Difficile... potrei prendere ispirazione dal titolo del prossimo Ballo. “MoreAmore”, che ricorda anche l’inglese more and more, sempre di più. Poi ce ne sarebbero tante altre: tradizione, innovazione, futuro».

È difficile conciliare il lavoro con la vita privata?

«Ho fatto una scelta consapevole: la mia vita privata è sempre stata penalizzata da quanto tempo ho dedicato al lavoro. L’ho sempre considerato una missione di vita. Non cerco onori né fama. Il Ballo del Doge è una parte forse anche un po’ strana della mia personalità. Il mio lavoro è una forma di ossessione, ma è la fonte delle mie gioie. e anche di piccole amarezze, ogni tanto».

Di recente è stata insignita del Diamond of Excellence Award come ambasciatrice del Made in Venice a Madrid. Questi riconoscimenti che cosa significano per lei?

«Ne sono orgogliosa. Mi rendo conto che tutto questo lavoro ha lasciato un segno. Sono felice di promuovere la mia città, di poterne parlare con altrettanti creativi o personalità di scienza, dell’arte. È uno scambio incredibile e suscitare amore per la mia città è fonte di orgoglio e felicità».

Il suo prossimo obiettivo?

«Fare bene la cosa che farò il giorno successivo. Quindi, occuparmi delle scenografie. Il Ballo del Doge è ogni giorno della mia vita, non finisco mai. Il pensiero va sempre a tutto il mio team, il più perfetto».

Il Ballo del Doge punta a un mondo altro. Oggi, abbiamo perso la capacità di lasciarci guidare dai sogni?

«Sì, un po’ si è persa. La superficialità ha portato allo sgomento, alla non fiducia nel futuro. Ma si può recuperare, di questo ne sono certa. Ci sono momenti di sfasamento, le difficoltà che viviamo e affrontiamo ogni giorno. Più che perdere la capacità, direi che si è persa la voglia di lasciarci guidare dai sogni. È nostro dovere fare il massimo: di problemi ce ne sono molti forse, bisognerebbe rieducare i ragazzi alla meraviglia delle piccole cose, per ricostruire questa voglia di vivere, di fiducia nel futuro».

La vede ancora questa fiducia?

«La verità è che basta trovare la passione. E mantenere aperta la nostra anima verso la bellezza del mondo». —

 

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