Alessia Rampino al vertice di Coram e tra i top di Forbes: «Crederci sempre»
Appartiene alla terza generazione alla guida del gruppo. «La competenza non ha genere: è una questione culturale». Laureata in biologia, ha scelto di uscire dal laboratorio per seguire la madre, che fu direttrice sanitaria dell’azienda

C’è una frase perfetta per descrivere la carriera e la vita di Alessia Rampino, presidente del Gruppo Coram e tra le 100 donne di successo scelte da Forbes Italia nel 2025: “La cosa migliore da fare per se stessi è continuare a imparare”. La pronuncia Mago Merlino nella Spada nella roccia ed è il mantra di Rampino, dal 2019 a guida di Friuli Coram.
Partiamo dall’inizio: dalla biologia all’imprenditoria. Come è successo?
«Sono cresciuta in laboratorio: mia mamma, Dagmar Cordaro, lavorava qui, nell’azienda fondata da lei con il nonno, il professor Mario Cordaro, e con mio padre, il dottor Antonio Rampino. La scelta di studiare biologia è stata quasi naturale. Non volevo fare il medico, perché pensavo di essere troppo sensibile. Subito dopo la laurea – era l’inizio degli anni Duemila – ho iniziato a lavorare in laboratorio, ma non ero felice, mi mancava il contatto con le persone. Ogni volta che potevo scappavo e affiancavo mia mamma, direttrice sanitaria, nelle sue attività. Osservavo in silenzio e poi studiavo».
A forza di guardare, però, ha imparato.
«Ci è voluta molta pazienza. Mi sentivo in gabbia e soffrivo un po’ la sindrome dell’impostore: molti dipendenti temevano che la figlia del titolare togliesse loro il lavoro. E allora, per non disturbare nessuno, ho iniziato a svolgere tutte le mansioni meno gradite: riordinavo i documenti, mi occupavo della burocrazia, portavo la carta nei reparti e smistavo i referti. Così mi sono fatta strada: ho iniziato a proporre piccole innovazioni tecnologiche che hanno semplificato il lavoro di tutti».
La svolta quando è arrivata?
«Un giorno i miei genitori mi chiamarono e mi dissero “Da domani sei responsabile delle risorse umane”. Non sapevo da dove iniziare. E allora sono partita dalle esigenze dei dipendenti e da una riorganizzazione capillare dell’azienda, in cui vedevo tanto potenziale».
E ora, con i due fratelli Emanuele e Gianluca, siete alla terza generazione di imprenditori a guida dell’azienda. Come è cresciuta?
«Un ruolo importante lo ha avuto anche mio marito, Riccardo Cisilino, ingegnere ambientale, che come me ha sempre creduto tanto nella formazione. Insieme abbiamo fondato un ente specifico (l’ex F.a.t.a, oggi Coram Servizi Imprese), uno strumento per far entrare la cultura in azienda».
In sanità il privato è ormai una risorsa imprescindibile e il tema degli accreditamenti infiamma il dibattito politico: come si conciliano pubblico e privato?
«Il privato non può e non deve sostituirsi al pubblico. Sicuramente, da alcuni anni ormai, la sanità pubblica sta vivendo un momento di grande sofferenza, con tanti medici che abbandonano gli ospedali e cercano impiego da noi. Il privato può fare molto, ma deve essere un partner del pubblico, con una sola parola chiave: equilibrio».
Il cambio del nomenclatore tariffario per alcune prestazioni quanto ha impattato sul vostro lavoro?
«Un abbassamento così importante delle tariffe di alcune prestazioni – a noi tocca in particolare l’ambito della diagnostica per immagini – mette in discussione tante cose, come l’innovazione tecnologica e la retribuzione del personale. Da un lato, per migliorare i servizi, abbiamo bisogno di più dipendenti e più preparati; dall’altro, però, i costi della vita aumentano e le persone hanno necessità di stipendi più alti».
Il settore della sanità è noto per avere una grande percentuale di donne, ma poche in ruoli dirigenziali. Come si colma questo gap?
«Premesso che io sono stata fortunata, avendo una madre che aveva già spianato la strada, e un padre che mi ha sempre sostenuto, badando più alla competenza che al genere, credo che il problema sia ancora culturale: gli uomini si sentono minacciati dalle donne brave. Ma non bisogna smettere di crederci, lottare ad armi pari e ragionare insieme: così diventiamo più forti».
Ci sono stati momenti difficili? Come li ha superati?
«Mi divido tra il lavoro e la famiglia (ho due figli adolescenti) e la coperta è sempre troppo corta: spesso mi sono sentita in colpa e scissa tra l’azienda e gli affetti. Nella vita quotidiana, l’aiuto di mio marito è fondamentale, siamo una squadra e abbiamo stabilito delle regole: cene con gli amici solo a casa e vacanze estive tutti insieme».
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