Un momento della notte dei ragazzi veneti in attesa del funerale di Papa Francesco (foto Edoardo Fioretto)
Un momento della notte dei ragazzi veneti in attesa del funerale di Papa Francesco (foto Edoardo Fioretto)

La notte al freddo cercando un giaciglio per aspettare l’addio al Papa. Il nostro reportage con i ragazzi

Con il gruppo di adolescenti e animatori arrivato a Roma dalla provincia di Padova per il Giubileo e il funerale di Francesco. Le sistemazioni negate, le temperature rigide, il rifugio al fast food, la corsa al varco. E il posto conquistato nelle prime file in Piazza

Edoardo Fioretto, Inviato a Roma

Li si era lasciati all’addiaccio, nel silenzio della notte di Roma e una missione dall’esito ancora incerto. Essere tra i primi in fila per i funerali di Papa Francesco. Ma come? La notte per ventisei ragazzi e un parroco fuori dal comune della comunità religiosa di Piove di Sacco, nella Bassa Padovana, è stata portatrice di consiglio. E di peripezie. La notte inizia con un crollo delle temperature a meno di dodici gradi, fresco per una cena fuori, freddo per dormire su un marciapiedi.

«Non potete stare qui»

Il marciapiedi dei ventisette avventurieri è quello di piazza Sant’Uffizio, alle spalle del colonnato sud del Vaticano. Stuoiette per materasso e coperte termiche sono quanto di più comodo offre la serata. Non bastano però a riparare da quel freddo pungente che spezza il sonno. Un poliziotto del presidio di sicurezza lo interrompe definitivamente quando all’una e mezza avvisa: «Non potete stare qui». Lapidarie affermazioni che impongono un cambiamento radicale di ogni programma.

La notte con i giovani pellegrini veneti all'addiaccio aspettando il funerale del Papa

L’apertura dei gate per accedere alle aree della cerimonia funebre è fissata alle 6 in punto del mattino. Le lancette riaffermano la triste realtà: mancano ancora quattro ore e mezza. “Che si fa?”, si chiedono i ragazzi della comitiva di pellegrini. Goffi per il sonno si rialzano, rifanno gli zaini e parte la ricerca di un nuovo spazio di strada da chiamare letto.

«Forse questo vi poterà a considerare in modo diverso le persone che sono costrette a vivere in strada», osserva don Giuliano Piovan, a capo della spedizione.

Nessuno osa replicare e assimila silenzioso la riflessione, facendola propria. Un’altra chance viene offerta da uno degli altri gate di accesso a via della Conciliazione, chiusa la notte per permettere la bonifica dell’area in vista dell’arrivo dei Capi di Stato di mezzo mondo. Quelli che non hanno mandati d’arresto internazionali per crimini di guerra, quantomeno.

Don Giuliano Piovan, parroco di Piove di Sacco
Don Giuliano Piovan, parroco di Piove di Sacco

L’opportunità sfuma subito al primo tentativo di ricavare uno spazio per il gruppo di veneti. La realtà viene sbattuta in faccia agli animi avventurosi nel momento in cui scoprono che la strada è già lastricata di sacchi a pelo. «Qui non ce state», dice in romanesco un pellegrino sui trent’anni, «non ce state proprio».

L’idea del fast food

E via di secondo sfratto, alla ricerca di alternative. L’idea arriva da uno dei ragazzi: «Perché non andiamo al “mec” (il McDonald’s, ndr)?», chiede controllando negli occhi se questo abbia ottenuto consensi. Quindi aggiunge, «Sono aperti 24 ore su 24, lo sapete vero?».

Nessuna risposta migliore: don Giuliano apre il telefono e importa la rotta sul navigatore. A destra, poi dritto verso Castel Sant’Angelo, quindi al Palazzaccio svolta a destra. Venti minuti per arrivare, meno di due per ordinare. Arrivano patatine, bevande frizzanti (alla fine c’era da scommetterci che accadeva), qualche muffin per due ragazzi della comitiva che proprio ieri hanno compiuto gli anni. E tanti caffè. Che non bastano a risvegliare i muscoli e la mente. Qualcuno appoggia la testa al tavolo per recuperare qualche minuto di sonno e prontamente un dipendente invita il gruppo a lasciare il fast food.

Verso il varco

Privi ormai di chance sembra che la notte non abbia portato poi così tanto consiglio. L’esperienza sembra rovinata finché non appare un massaggio al telefono di don Giuliano. «Pare che l’ingresso da Castel Sant’Angelo sia meno affollato degli altri», legge dallo schermo illuminato. È proprio lì, Castel Sant’Angelo, a due passi. Provare a quel punto non costa nulla.

E anche se all’inizio gli steward a guardia del cancello dicono che sarebbe stato aperto dalle cinque - ma così non accade – e si deve aspettare fino alle 6.05, poco importa.
È tornata la speranza nel gruppo. La speranza di poter essere presenti in quel prezioso momento della Storia, lo definisce don Giuliano. I ragazzi offrono risposte più variegate, di colore, ma anche inaspettate. Perché se c’è chi ricorda che per loro è un momento particolare, perché Franciscus era il Papa da quando ne avevano memoria, dall’altro pare che siano lì a salutare un lontano zio, o un nonno.

«Era uno come noi»

«Era una persona buona, un uomo come noi. Ma alla fine aveva il potere di farsi ascoltare, e non è da poco», dice un altro. Ma tutti riconoscono il peso delle sue parole, la sua audacia nel chiedere ad esempio la fine delle guerra. 

E forse questo ai ragazzi piace del Papa, e spiega il senso di contatto che li ha portati a dire addio, sabato 26 aprile, al Santo Padre. Ad essere riusciti a trovarsi in tra le prime file, sfidando il freddo e la notte romana. Perché ricorda uno uomo qualsiasi, e, usando le parole dei ragazzi conosciuti in questo viaggio, «solamente un po’ più coraggioso». Il Papa degli ultimi, certo. Ma anche l’ultimo dei Papi: perché metteva davanti la sua umana fragilità. Senza paura.

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