Transizione 5.0 a rilento, allarme a Nord Est: «Troppa burocrazia»

La misura è destinata alle aziende che effettuano nuovi investimenti fino al 31 dicembre 2025. Emanuele Orsini: «Serve semplificarla perché le imprese faticano soprattutto sulla parte energetica»

Giorgio Barbieri
Pannelli solari su un edificio, in una foto d'archivio. ANSA/LUCA ZENNARO
Pannelli solari su un edificio, in una foto d'archivio. ANSA/LUCA ZENNARO

Doveva essere «l’architrave della politica industriale italiana», per usare le parole del ministro Adolfo Urso. Ma a poche settimane dalla sua approvazione il nuovo “Piano Transizione 5.0”, il programma da complessivi 13 miliardi nel biennio 2024-2025 a favore della transizione digitale e green delle imprese italiane, è già finito nel mirino del presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che ha fatto proprie le preoccupazioni che anche a Nord Est sono emerse sulla sua effettiva messa a terra.

«È una misura fondamentale per le imprese», ha detto il numero uno degli industriali, «abbiamo però bisogno di semplificarla perché la verità è che le nostre imprese stanno facendo fatica anche per le regole chieste dall’Europa che mettono in difficoltà, soprattutto sulla parte energetica».

Alla base delle preoccupazioni degli imprenditori ci sono i dati, tutt’altro che confortanti, sull’andamento delle richieste di finanziamento: su 6,3 miliardi di euro stanziati, per ora sono arrivate domande che sfiorano appena i 100 milioni di euro. Il timore degli industriali è di non fare in tempo: la misura, infatti, è destinata alle aziende che effettuano nuovi investimenti fino al 31 dicembre 2025. Ma, è il ragionamento diffuso, il vincolo temporale per chiudere l’investimento è molto stretto. Non si riesce nemmeno a ottenere la consegna dei macchinari perché gli ordini possono arrivare anche dopo un anno e mezzo. Basta uno slittamento e poi come si rientra nei conti? «Per questo chiediamo», ha aggiunto Orsini, «che chi ha dato l’acconto nel 2023 come Industria 4.0 e non ha ancora cominciato gli impianti possa usufruire di Transizione 5.0 magari modificando l’impianto, stando attenti agli ambienti e ai requisiti di industria 5.0».

A Nord Est tra i primi a lanciare l’allarme sui ritardi del Piano è stato Filippo Girardi, presidente e amministratore delegato della veronese Midac, azienda leader in Italia e tra le prime in Europa per la produzione di batterie industriali per carrelli elevatori e di avviamento auto. Dal 2022 è anche presidente della Federazione Anie, l’associazione che rappresenta in seno a Confindustria le aziende del settore dell’elettronica e dell’elettrotecnica con un fatturato aggregato di 102,7 miliardi. «Transizione 5.0 è poco comprensibile soprattutto per i tempi stretti per presentare tutta la documentazione per accedere ai finanziamenti», afferma, «i decreti attuativi sono stati fatti troppo tardi, forse perché il cassetto dello Stato era un po’ corto, per cui non credo saranno molte le aziende che potranno beneficiarne».

Servono infatti sedici passaggi burocratici - tra ministero delle Imprese, Gse e Agenzie delle Entrate - dalla prenotazione, all’esecuzione, alla rendicontazione dell’investimento. Ma l’ostacolo più importante è quello che riguarda gli obiettivi di risparmio energetico. Infatti sono agevolabili solo gli investimenti in quei beni a elevato contenuto digitale (gli stessi di Industria 4.0), che però facciano conseguire una riduzione di consumi energetici almeno pari al 3% a livello di struttura produttiva o al 5% a livello di processo. In questo caso si beneficia del 35% di credito d’imposta, percentuale che sale fino al 45% se la percentuale di riduzione dei consumi è superiore.

Senza trascurare poi che ci sono voluti sei mesi di complessa gestazione per arrivare al decreto legge di marzo e solo tra luglio e settembre sono stati pubblicati i decreti direttoriali e la circolare, necessari per consentire alle imprese di presentare le domande. Ma ormai resta poco più di un anno a disposizione. «Le performance dei settori industriale e solare nel primo semestre sono state fortemente influenzate dal ritardo nell’entrata in vigore del Decreto Attuativo del Piano Transizione 5.0», spiega Roberto Rizzo, presidente della trevigiana SolidWorld, specializzata nel settore delle tecnologie digitali, della stampa 3D e dell’additive. E se sta registrando difficoltà una realtà strutturata come SolidWorld, la situazione deve essere ben più complessa per le centinaia di Pmi del territorio. Una preoccupazione annunciata subito dopo la pubblicazione dei decreti attuativi anche da Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico. «Il governo è riuscito in una difficile quadratura di un cerchio che da una parte vede le esigenze di digitalizzazione delle imprese e dall’altra le istanze green del Pnrr», aveva detto, «un esercizio per nulla scontato le cui complessità siamo pronti a valutare grazie ad una struttura, quella di Confindustria Alto Adriatico, che sarà certamente in grado di dare supporto a quelle Pmi che rischiano di faticare più delle società strutturate nella gestione dei progetti e nel controllo di quegli aspetti legali che saranno sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate».

A spingere il presidente di Confindustria Orsini a chiedere al governo di rivedere i tempi del Piano hanno certamente contribuito gli spunti raccolti a Nord Est nel corso delle assemblee degli industriali che si sono tenute nelle ultime settimane, in attesa di quella di Veneto Est prevista per il prossimo 23 novembre. «La pubblicazione dei decreti per il Piano Transizione 5.0 non ha dato la spinta agli investimenti attesa», ha sottolineato Raffaele Boscaini, presidente di Confindustria Verona, «i ritardi accumulati hanno alimentato l’incertezza rispetto alle modalità di accesso all’agevolazione. Tutto questo unito ad un contesto poco definito mantiene bassa la fiducia delle imprese che restano estremamente caute nelle previsioni. Siamo in una fase di cambiamento e di trasformazione non ancora del tutto chiara».

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