Porti Usa in sciopero un altro rischio tsunami sui traffici marittimi

Partita la grande agitazione in 14 scali dalla costa Est al Golfo del Messico. Attese ripercussioni in tutto il mondo fino al Mar Mediterraneo

Piercarlo Fiumanò
HOUSTON, Texas (Dec. 11)--The Port of Houston, the busiest in the nation in terms of foreign tonnage, is accessed by a 54-mile long ship channel. In an average day more than 700 vessel transit the channel. Here, a ship passes under the Fred Hartman bridge on the Houston ship channel, December 11. USCG photo by PA2 James Dillard
HOUSTON, Texas (Dec. 11)--The Port of Houston, the busiest in the nation in terms of foreign tonnage, is accessed by a 54-mile long ship channel. In an average day more than 700 vessel transit the channel. Here, a ship passes under the Fred Hartman bridge on the Houston ship channel, December 11. USCG photo by PA2 James Dillard

Un nuovo cigno nero all’orizzonte sui traffici mondiali. Lo sciopero dei lavoratori portuali iniziato ieri in Usa, dalla costa orientale a quella del golfo del Messico, minaccia di provocare un grosso tsunami sulle catene di approvvigionamento mondiali che potrebbe arrivare fino ai porti del Mediterraneo. Lo “strike”, che si estende dal Maine al Texas, riguarda 14 porti che assieme gestiscono circa la metà delle importazioni che raggiungono gli Usa.

Potrebbe essere questo il terzo cigno nero sui traffici mondiali. Il primo cigno è stato provocato dal boom di ordini dell’industria manifatturiera nel post-pandemia che ha travolto la logistica mondiale. Il secondo è stato causato dal blocco di Suez, a causa degli attacchi degli Houthi, che ancora oggi costringe le grandi navi portacontainer a circumnavigare l’Africa provocando un’impennata dei noli. E ora lo sciopero dei porti Usa che sta già mandando in corto circuito i traffici globali provocando un calo della disponibilità di navi e container nei porti di origine in Europa e Asia, con conseguenze pesanti per l’intera economia mondiale con ritardi e aumenti delle tariffe. Già la situazione di sta surriscaldando; nei porti di Long Beach e Los Angeles la gestione dei container ha già raggiunto un altro grado di difficoltà.

Lisa DeNight, managing director della ricerca industriale nazionale per Newmark, ha commentato con la Cnbc che «se lo sciopero andrà avanti per più di un paio di giorni, avrà effetti a cascata su tutta l’economia globale, non solo su quella statunitense». Persino un’interruzione di soli due giorni potrebbe avere «implicazioni significative su alcune industrie», come quelle farmaceutica, automobilistica e manifatturiera. Gli analisti di JPMorgan hanno calcolato che uno sciopero come questo costa 5 miliardi di dollari al giorno pari a circa il 6% del prodotto interno lordo Usa. L’agitazione è stata decisa al culmine di un confronto con i datori di lavoro su salari e automazione ed è il primo deciso dall’International Longshoremen’s Association (Ila) in quasi mezzo secolo. L’Ila rappresenta circa 45.000 lavoratori portuali e ha deciso di proclamare lo sciopero dopo l’interruzione delle trattative con la United States Maritime Alliance (Usmx).

I sindacati americani vogliono un aumento salariale del 77% in sei anni come condizione per tornare alle contrattazioni, secondo fonti del Wall Street Journal. L’amministrazione Biden preme sui datori di lavoro di Usmx per alzare l’offerta: aumento salariale del 50% in sei anni, dal precedente 40%, in aggiunta ad altri benefit. Ma c’è dell’altro. La protesta in realtà è solo il culmine di un malessere già manifestato dai lavoratori portuali in Australia e Gran Bretagna che hanno cominciato a guardare ai robot e alla digitalizzazione dei porti come una minaccia alla loro sopravvivenza. Los Angeles e Long Beach in California sono la porta d’accesso di circa il 40 per cento delle importazioni che raggiungono gli Stati Uniti via container: e qui l’automazione avrebbe provocato il taglio di circa 13 mila posti di lavoro. «L'innovazione sta cambiando il modo in cui i porti e le linee marittime stanno lavorando», ha sottolineato Ricardo Ungo, professore presso la School of Supply Chain, Logistics and Maritime Operations della Old Dominion University, citato dal New York Times. —

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