Gli operatori del caffé sulla tazzina a 2 euro: «Non sarebbe esagerato all’estero costa di più»

Nel breve e medio termine la filiera è sotto pressione anche a causa del problema legato al canale di Suez, che ha fatto lievitare i costi e allungato i tempi a causa delle speculazioni che, secondo Scocchia «riguardano più in generale le soft commodities»
Piercarlo Fiumanò

Tempesta perfetta sul caffè. L’allarme lanciato dalla Ceo di Illycaffè Cristina Scocchia al Meeting di Rimini trova concordi gran parte degli operatori: l’espresso potrebbe arrivare presto a 2 euro alla tazzina. L’estrema volatilità del caffè verde oggi sta infatti provocando un trend rialzista senza precedenti che, alla fine di una complessa filiera produttiva, colpirà il caffè al bar ma anche quello macinato sullo scaffale dei supermercati che in Italia vale il 73% dei volumi totali assieme a cialde e capsule per il consumo domestico che hanno già subito aumenti stimati da fonti di settore intorno al 20/25%.

Cosa sta accadendo? Oggi il caffè verde costa 245 cents per libbra, il 66% in più dell’anno scorso, oltre il doppio rispetto a tre anni fa: «Questo ci spiega perché in tre anni il costo della tazzina del caffè che beviamo al bar è aumentato del 15%, e adesso costa in media un euro e mezzo in Italia. Stimiamo che aumenterà ancora e che possa arrivare a toccare i 2 euro nei prossimi mesi se queste pressioni rialziste sul costo del caffè verde continueranno», prevede Scocchia.

Nel breve e medio termine la filiera è sotto pressione anche a causa del problema legato al canale di Suez, che ha fatto lievitare i costi e allungato i tempi a causa delle speculazioni che, secondo Scocchia «riguardano più in generale le soft commodities».

Un report di Mediobanca stima che il mercato mondiale del caffè torrefatto (dato 2022) vale circa 120 miliardi di dollari. Rappresenta consumi pari a 170,8 milioni di sacchi da 60 kg, equivalenti a 3,1 miliardi di tazzine bevute ogni giorno su scala globale. L’Italia resta il paradiso del caffè, siamo il settimo Paese consumatore al mondo con 5,2 milioni di sacchi annui, circa 95 milioni di tazzine di caffè sorseggiate ogni giorno, ovvero 1,6 in media per abitante.

Un mercato oggi sottoposto a una pressione mai vista a causa del clima estremo dopo le piogge torrenziali in Brasile e la siccità in Vietnam. C’è poi il rischio molto temuto che il cambiamento climatico arrivi a dimezzare i terreni coltivati entro il 2050.

Il climate change colpisce una produzione di caffè verde che è molto concentrata: il Brasile, che è il primo produttore del pianeta con il 34,8% del mercato, detiene la leadership nella produzione di Arabica con il 40,9% ed è il secondo attore per la Robusta (27,8%). Segue il Vietnam con il 18,9% ma con il 39,1% della produzione di Robusta dove risulta il principale produttore.

Il fatturato non consolidato delle torrefazioni italiane, che sono circa un migliaio, è stimato in 4,5 miliardi di euro. Fabrizio Polojaz, torrefattore da trent’anni, è presidente dell’Associazione Caffè Trieste fondata nel 1981; rappresenta una filiera produttiva che occupa un migliaio di persone, con un fatturato stimato intorno a circa 1 miliardo di euro, dove «mancano solo le piantagioni di caffè per essere completa».

Quello degli importatori-crudisti triestini e delle case di spedizione specializzate, è un mondo che storicamente lavora sui mercati globali con tutte le qualità di caffè disponibili, dall’Arabica alla più “napoletana” Robusta: «Da due anni -commenta Polojaz- il costo del caffè sta crescendo e le torrefazioni sono in grande difficoltà perchè a causa di questi aumenti sono costrette a rinunciare a investire nell’ammodernamento dei macchinari. Non parliamo solo dell’impennata del costo della materia prima ma anche della grossa pressione sui costi dei servizi logistici a causa del blocco di Suez che sta provocando ritardi fino a 60 giorni nelle consegne».

Polojaz accusa la speculazione internazionale: «In realtà questi aumenti sono ingiustificati perchè non siamo di fronte a un calo della produzione ma di una pressione sulle materie prime». Il prossimo cigno nero sul mercato del caffè potrebbe però chiamarsi La Niña, fenomeno invernale di siccità estrema atteso in Sud America che potrebbe colpire presto le coltivazioni: «La speculazione si alimenta anche con il timore di fenomeni climatici estremi che secondo me colpiscono soprattutto i Paesi produttori. Dobbiamo essere in grado di irrobustire le colture per reggere anche le tempeste».

Il prezzo della tazzina di caffè (che un tempo si misurava con quello del quotidiano) è l’unità di misura dei consumi di un Paese. Per il capo dell’Associazione caffè Trieste, tuttavia questa idea che ci debba essere un prezzo “politico” per la tazzina è sbagliata: «Stiamo subendo aumenti senza precedenti a causa della speculazione. Mi chiedo tuttavia perchè la tazzina di caffè non possa avere prezzi diversificati e costare di più, per qualità, produzione e servizio, come succede per il calice di vino».

Un caffè a cinque stelle come il buon vino? «Di sicuro potrebbe spingere il mondo delle torrefazioni a investire di più in qualità, manutenzione delle macchine e servizio. Lo dico da triestino che in giro per l’Italia trova spesso caffè cattivo».

Massimiliano Fabian, vicepresidente della Federazione europea del caffè, è a capo della triestina Demus, una delle poche aziende europee specializzate nel decaffeinato in crescita costante: «In realtà il prezzo del caffè verde sta subendo un importante rallentamento produttivo che per me è all’origine di questa impennata del prezzo. I minori stock nei Paesi consumatori provocati dai cambiamenti climatici stanno creando forti oscillazioni sui mercati. É vero che l’espresso in Italia è correlato da sempre al prezzo del quotidiano ma oggi questo parametro non vale più».

Secondo lei il caffè al bar oggi dal punto di vista dei produttori è caro? «Non direi. Va considerato che in Italia il caffè costa molto meno che in altri Paesi con un tenore di vita comparabile al nostro. A mio parere un prezzo di 2 euro per l’espresso va considerato ancora nei limiti. Se lei va in Germania, Svizzera, Inghilterra, Slovenia la tazzina costa molto di più. L’espresso è ormai diffuso in tutto il mondo e non è una esclusiva solo italiana».

L’espresso resiste insomma a tutte le intemperie e tempeste geopolitiche.

Ma cosa dire della qualità della tazzina? «Dipende da molti fattori. Purtroppo non beviamo sempre un buon caffè. Una volta in un autogrill sugli Appennini mi hanno offerto un caffè “speciale” assolutamente imbevibile e mal conservato». Trieste resta la capitale del caffè? «É una fama meritata perchè siamo una città che ha una grande tradizione del chicco anche per la sua tradizione emporiale. Di fatto i triestini sono i più grandi consumatori di caffè al bar. Mai però illudersi di essere i più bravi ».

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