Troppa famiglia e poco flottante. Il Nord Est non vola a Piazza Affari
La Borsa resta croce e delizia del capitalismo di territorio. C’è chi sceglie di uscire dal listino e chi si quota altrove. Equita: solo il 30% delle aziende performanti ha un azionista con più del 50%

A Nord Est i campioni non mancano, ma meglio fuori dai riflettori di Borsa. Accade così che nell’ultima analisi che Equita ha realizzato sui top perfomer a Piazza Affari, il quadrante nordorientale si ritrovi in una posizione molto marginale.
Con pochi nomi di spicco dell’imprenditoria a balzare nelle prime posizioni della classifica. Così, sui quaranta principali titoli che si sono distinti negli ultimi dieci anni per miglior valorizzazione sul listino italiano, ne compaiono solo quattro ascrivibili all’area che salgono a cinque considerando anche il gruppo Hera, che qui ha importanti partecipate. Si tratta nell’ordine di Zignago Vetro, che nel periodo considerato ha messo a segno una performance del 331%, Banca Generali, +213%, Banca Mediolanum, +162%, Hera +152% e infine De’ Longhi con +135%.
Nell'esaminare l'evoluzione dei titoli italiani meglio performanti dell'ultimo decennio, emergono dati rilevanti sullo sviluppo temporale delle aziende e si leggono in controluce anche le motivazioni che potrebbero aver indotto un tale risultato. Il primo è che molte imprese a matrice familiare o controllate da importanti holding di matrice familiare (leggi mondo Benetton con Atlantia ora Mundys e Autogrill, o Delfin con EssiLux) o hanno deciso di abbandonare i listini o hanno scelto altre piazze per la quotazione.
A ciò si somma una presa sempre molto importante della famiglia fondatrice sui gruppi che, volenti o nolenti, influisce sull’ampiezza del flottante.
Come emerge dall’analisi di Equita, infatti, si osserva un aumento del flottante e una riduzione del controllo familiare nelle aziende di successo. Negli anni passati molte delle aziende più performanti avevano un azionista di riferimento con il 50% o più dei diritti di voto, mentre oggi questa percentuale si è ridotta. Questo cambiamento potrebbe essere correlato a un mercato che tende a favorire aziende medio-grandi, incluse quelle che hanno intrapreso operazioni di trasformazione significative, spiega Equita.
Solo il 30% delle aziende nella top ten analizzate da Equita vede un azionista di riferimento con più del 50% dei voti. A ciò come detto si somma la decisione di scegliere per quotazioni con un forte potenziale di valorizzazione mercati diversi da quello italiano. Questo, spiega Equita, è un segnale di allarme per i mercati dei capitali italiani, che in assenza di investitori dedicati e senza un supporto alle nuove quotazioni, rischia di diventare marginale. È necessario quindi promuovere la cultura della quotazione con incentivi efficaci, per esempio con un supporto fiscale, e con la costituzione di fondi di investimento dedicati all’investimento nelle piccole e medie capitalizzazioni. Questo è essenziale per evitare un impoverimento strutturale del mercato, come dimostrato dal confronto con la Francia, dove la capitalizzazione rispetto al Pil è quasi uno a uno contro il 30% circa dell’Italia.
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