L’arresto di Enrico Laghi, chi è il super manager chiamato a novembre dai Benetton a guidare Edizione

TREVISO. Sulle competenze tecniche nessuno ha mai avuto dubbi. Diversamente non sarebbe stato chiamato a offrire la sua consulenza o a ricoprire incarichi da consigliere d’amministrazione per alcune delle aziende più importanti d’Italia: da Enel a Telecom Italia, da Pirelli ad Acea, da Eni a Saipem, da Banca Finnat a Burgo, dalla Rai a Fendi.
Ma ciò che ha permesso a Enrico Laghi di collezionare centinaia di incarichi in un quarto di secolo è soprattutto la riconosciuta capacità di ascoltare, mediare, trovare compromessi. Quella stessa abilità che gli è stata riconosciuta dai Benetton, che non a caso lo hanno scelto come uomo di fiducia del dopo Gianni Mion, consapevoli non solo della complessità delle partite che vedono coinvolta la famiglia, ma anche per la necessità di cercare soluzioni condivise tra i nuovi rami della dinasty, meno orientati all’armonia rispetto alla vecchia generazione.
La chiamata nel novembre scorso per guidare Edizione Holding da dominus assoluto (dato il doppio incarico di presidente e amministratore delegato) non era stata una scelta improvvisa, bensì il coronamento di una collaborazione iniziata con Gilberto Benetton quasi 20 anni prima, per la precisione nel 2001, nell’ambito dell’operazione di acquisto di una quota di Telecom da Bell, tramite la holding Olimpia.
Un rapporto poi rafforzato in occasione della partecipazione della famiglia veneta al salvataggio di Alitalia. Proprio per la compagnia aerea aveva svolto diverse mansioni, prima da consulente esterno, poi come manager interno, fino a ricoprire l’incarico di commissario straordinario (con Luigi Gubitosi e Stefano Paleari) nel 2017.
Nato nel 1969 e con una cattedra universitaria alla Sapienza, con il suo studio di commercialista si è specializzato negli anni soprattutto nella gestione di aziende in grossa difficoltà o alle prese con profonde trasformazioni del business o degli assetti proprietari.
Nessuno meglio di lui, romano e profondo conoscitore delle dinamiche di Palazzo, pareva indicato per chiudere la lunga ed estenuante trattativa con il governo Conte per la vendita di Autostrade a Cdp e rilanciare l’immagine dei Benetton dopo la vicenda del ponte Morandi.
Gli arresti domiciliari sono cosa ben diversa da una condanna e la vicenda contestata nulla ha a che vedere con la famiglia veneta, ma sta di fatto che questa esperienza si conclude qui. Ora occorrerà trovare un nuovo timoniere e farlo in fretta.
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