Don Maurizio, l’allievo di Prevost: «Papa Leone XIV si porrà in continuità con i predecessori»

Don Maurizio Girolami è preside della Facoltà teologica del Triveneto: dottorato all’Augustinianum, all’epoca guidato dal futuro Pontefice

Enri Lisetto
Don Maurizio Girolami, pordenonese di 52 anni, è preside della Facoltà teologica del Triveneto
Don Maurizio Girolami, pordenonese di 52 anni, è preside della Facoltà teologica del Triveneto

Affabile, di grande competenza dottrinale, pragmatico come lo sono gli americani. «Saprà fare sintesi tra le figure di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco». Ne è certo don Maurizio Girolami, pordenonese di 52 anni, da settembre scorso preside della Facoltà teologica del Triveneto e da gennaio scorso presidente dell’Associazione Biblica italiana.

Il suo diploma di dottorato in teologia e scienze patristiche, datato 3 dicembre 2009, porta una firma di tutto rispetto, quella di Robert Francis Prevost, allora moderatore generale dell’Istituto Patristico Augustinianum di Roma e da due giorni Papa Leone XIV. «Prevost era moderatore – oggi si direbbe preside – dell’Istituto Patristico quando ero studente», dice don Maurizio Girolami.

Fu Paolo VI a lanciare questo istituto per gli studi di patristica e dei padri della Chiesa perché «alla luce dei testi del Concilio Vaticano II si riteneva utile per la formazione sacerdotale mettere a fuoco i primi secoli cristiani, andando alle origini della fede, trovando sorgenti inedite. Fu affidato agli agostiniani, che hanno messo insieme le voci ecclesiali e quelle di tanti luminari, come Manlio Simonetti. L’Augustinianum ha formato i patrologi di tutto il mondo».

Lei compreso...

«Anche monsignor Otello Quaia (già rettore del seminario di Pordenone e parroco della concattedrale, ndr) vi studiò. Allora Prevost era il moderatore; non fu mio insegnante, ma capitava di incontrarlo nei corridoi».

E quando è stato eletto Papa?

«Sono rimasto contento. Padre Prevost è sempre stato una persona di grande affabilità, di competenza dottrinale, caratterizzato dal tipico pragmatismo statunitense. Non ha mai rotto rapporti, anzi, ha cercato di comporli, anche nel loro importante Ordine. Una persona capace di entrare in dialogo con tutte le situazioni».

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La prima omelia che il Papa ha pronunciato davanti ai cardinali?

«Dimostra una grande preparazione biblica e teologica, soprattutto patristica, dando luce a tutto il suo magistero. Come prefetto della Congregazione dei vescovi ha riscosso molto apprezzamento nell’aiutare le Chiese nel mondo. Competente nella gestione della “macchina interna” e della Chiesa universale. Già la sua, del resto, è una famiglia universale: nasce a Chicago, è di origine francese, vive la chiesa missionaria e quella italiana di Roma. Porta la matrice di un mondo globale».

A suo avviso come si porrà rispetto a Papa Francesco?

«Sono stato molto colpito che nel saluto iniziale abbia voluto, con alcune parole, dire le sue priorità, che erano anche di papa Francesco. Ha parlato di una Chiesa in missione, non ha detto in uscita come Francesco, ma è la stessa cosa. Il dono della pace: Francesco l’ha invocato tante volte. Un altro aspetto: la sinodalità. È una parola nata con il pontificato di Francesco e Leone XIV ha rilanciato una sfida per la Chiesa di questi tempi, che non si deve preoccupare delle organizzazioni interne delle gerarchie, ma dei credenti che devono assumersi la responsabilità della fede, non solo intima, ma anche nell’impatto sulla società, sul posto di lavoro, sull’economia, sulla politica, sulla formazione. Credo che ci saranno linee di continuità, magari con uno stile più pacato nell’espressione, con Papa Francesco. Continuità sui contenuti, pur con uno stile personale. Del resto, ha saputo governare un ordine religioso molto importante e con una conoscenza del mondo non irrilevante. Ci sono tutte le premesse perché risulti in continuItà non solo con Francesco e Benedetto XVI, ma anche con Giovanni Paolo II, in questa missione che ha la Chiesa di annunciare il Vangelo».

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