Parlano gli esperti: «I piani industriali delle Banche? Business a rischio»

I nuovi top manager di Vicenza e Montebelluna puntano al ritorno delle proprie aziende a banche commerciali di territorio. Ma il rischio è non crescere più. Fare credito significa oggi 'portarsi in casa' sofferenze, specie se il modello fa perno sulla piccola impresa. E ora c'è un grande problema di reputazione per queste due banche alle prese con procure e cause intentate dai soci

PADOVA. I nuovi manager delle banche popolari in sofferenza hanno aperto il rispettivo nuovo corso rimarcando la necessità di un ritorno al core business, ovvero: banche commerciali e di territorio. Hanno promesso utili e ricavi. Perfino i dividendi. Lo dicono nero su bianco due piani industriali che guardano entrambi al 2020, ma ci dicono poco sull'oggi. Per esempio su come Popolare di Vicenza e Veneto Banca chiuderanno i bilanci 2015, che saranno presumibilmente ancora in rosso. Ma in attesa dei risultati c'è una domanda utile da farsi: che successo può avere il modello di business della 'vecchia' popolare in un imminente futuro?

«E' il passato il giudice più severo di questi piani industriali insipidi e tristi – dice Fabio Bolognini, esperto di banche, autore del blog Linkerbiz -. Basta prendere per Veneto Banca il piano industriale 2014-16  per accorgersi che l’utile previsto per il 2016 (221 milioni) è di poco superiore a quello del nuovo piano ma spostato al 2020 (240 milioni) mentre il margine d’intermediazione previsto per il 2016 (1.146 milioni) è inferiore a quello oggi previsto per il 2020 (1.002 milioni)».

La vera differenza sta nel taglio dei costi. Ma non basta per fare business. «In questi piani non c’è uno scatto d’orgoglio, una scintilla d’innovazione né il coraggio di cambiare traiettoria proponendo un’idea di banca diversa, lontana da quella che ha fallito» spiega Bolognini.

La vera differenza sta nel taglio dei costi. Ma non basta per fare business. «In questi piani non c’è uno scatto d’orgoglio, una scintilla d’innovazione né il coraggio di cambiare traiettoria proponendo un’idea di banca diversa, lontana da quella che ha fallito» spiega Bolognini.

«Si tratta di piani industriali "obbligati" dalle condizioni di mercato, ma che scontano un significativo ritardo rispetto a quanto già fatto da molte banche concorrenti» aggiunge Francesco Zen, docente nella Facoltà di Economia all'Università di Padova.
Il modello di business di vendita di fidi (mutui e prestiti) è saturo e maturo. Ls Bce sta stringendo sulla qualità del credito e sulle perizie degli immobili, viste le sofferenze che ha addosso il sistema, l'obiettivo è «gestire portando a casa meno rischi possibili, con evidenti conseguenze sulla redditività del business» aggiunge. In più ora c'è un grande problema di reputazione e di rischi legali per queste due banche vessate da cause e procure.

I clienti sono disorientati, il brand sembra non assicurare garanzie di assoluta affidabilità agli occhi della gente. Lo darà domattina, specie se si devono chiudere sportelli e licenziare  oltre mille bancari?

I piani industriali parlano di crescita ma il rischio e non crescere più. In una recente analisi Bolognini ha messo a confronto i dati della semestrale 2015 con i primi sei mesi del 2011: in Banca Popolare di Vicenza il margine di interesse aumenta di un sottile 1% ad aumentare del 22% sono altri proventi con commissioni in calo del 6%, a Veneto Banca il margine di interesse segna -11%, commissioni -21%, totale ricavi -5%. Il confronto è chiaro se si osserva nella Popolare di Sondrio, simile per grandezza di ricavi, che il margine di interesse cresce del 14%, con un totale ricavi a +25%. Per Vicenza, ricorda inoltre nella sua analisi l'esperto di Linkerbiz, «la crescita nel margine da interesse della Popolare Vicenza è accompagnata da un disastro sulle rettifiche su crediti per sofferenze, quindi una crescita malsana». La performance di Veneto Banca è invece negativa su tutti i fronti. «Popolare Vicenza e Veneto Banca appaiono in grande difficoltà non soltanto con i loro azionisti. Il ricambio di management sempre più invocato ha qualche giustificazione» ricorda Bolognini.


Eppure cambiare modello non è facile. Specializzarsi, come ha fatto Banca Ifis per esempio, meno. Ma è un dato di fatto che in regione molti avvoltoi stanno facendo la posta. Si sentono voci di nuove grandi banche, anche straniere, che chiedono di poter avere accesso ai portafogli dei soci-clienti in rotta con le popolari. Non i grandi imprenditori che, riuniti in associazioni, ancora ambiscono al controllo delle loro vecchie banche. Ma i target da 200, 300, 400mila euro di portagoglio. Non basterà dunque difendere la raccolta indiretta che oggi è in drastico calo. Quella delle banche italiane ha registrato, a fine maggio, una riduzione nei dodici mesi dell’1,4%, con un lieve peggioramento rispetto al calo dell’1,3% di giugno 2014. In Veneto Banca (dati dell'ultima semestrale) la raccolta diretta flette di circa 580 milioni (-2,7%) a 20,7 miliardi. A Vicenza, sempre nei sei mesi, parliamo di 27.646 milioni di euro, in riduzione del 9% (-5,5% nei dodici mesi). 

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