Cipolletta: "Credeteci, proprio qui abita l’Italia più vivace e produttiva"

Nel fine settimana, di solito Innocenzo Cipolletta torna a casa. A Roma. Ma passa gran parte del tempo di lavoro a Trento, dove è presidente dell’Università, e tra Milano, Venezia e il Nordest. Frequenta da economista e da uomo di finanza il pezzo d’Italia che produce, ma non vi è nato e non vi risiede: lo conosce a fondo, senza esserne parte e dunque il suo punto di vista ha il vantaggio di una “giusta distanza”. Tanto più colpisce il suo parere quando afferma che «il Nordest nemmeno si rende conto della sua nuova centralità. Continua a percepirsi come marginale, invece è il protagonista dell’economia in Italia e uno dei principali attori sulla scena europea».
Il Nordest è un logo declinato 25 anni fa da Giorgio Lago e da Ilvo Diamanti come “a nord di Roma e a Est di Milano”. Territorio senza centro e senza identità.
«Ma parliamo di un quarto di secolo fa. Il territorio che sta tra Verona e Trieste è cambiato molto, è sempre più simile all’Italia che vorremmo. Le grandi imprese stanno a Nordest, anche se non lo vogliono riconoscere. Benetton è la massima conglomerata italiana, anche se quasi tutti pensano che faccia ancora solo maglioni colorati. Ma dove stanno Generali, Carraro, Marzotto, Danieli, Luxottica, Fincantieri e una serie infinita di medie imprese tanto internazionalizzate da poter reggere i gravami di uno Stato come l’Italia? Sta qui l’Italia viva e produttiva. Dovete solo averne consapevolezza. Paradossalmente, lo ha capito Renzi».
Che difatti è da poco passato in visita ai confindustriali di Treviso e alla Danieli a Udine. Con salve di applausi impensabili a Nordest per un premier di centrosinistra.
«Jobs act e sgravi fiscali sono misure favorevoli alla ripresa, prese dal governo con grande decisione e concretizzate. Sull’azzeramento dell’Imu, per esempio, non sono per niente d’accordo, ma riconosco che va verso un alleggerimento della pressione fiscale e favorisce i consumi interni. Quante volte sulla riforma del mercato del lavoro abbiamo visto grandi disegni e accese discussioni, ma poi non succedeva quasi nulla? Stavolta ci sono state potenti polemiche, ma Renzi è andato avanti e ha scritto i decreti attuativi. Il governo in quest’ultimo periodo soprattutto porta avanti tante richieste delle imprese, di fatto interpreta i bisogni primari del Nordest e vede questo territorio e le categorie economiche come interlocutore essenziale. Al contrario, l’Italia del Sud non è affatto al centro dell’azione di governo, perché la spesa pubblica continua a arretrare. Ma la ripresa passa a Nordest, non certo a Sud».
Dal suo punto di vista, quali sono le prospettive per l’economia italiana?
«Detto che la situazione resta fragile perché il contesto internazionale resta pieno di insidie, viviamo una crescita moderata ma sufficientemente solida, nella misura in cui ha avuto come motore iniziale le esportazioni, che hanno rimesso in moto sistema economico e riagganciato consumi e investimenti. Vediamo in atto un processo di sostituzione per obsolescenza di materiali per famiglie e imprese. Penso al ricambio delle auto per le famiglie e agli impianti per le imprese. Un fenomeno favorito dal governo, che ha iniziato a abbassare le tasse alle famiglie con i famosi 80 euro. Ma Renzi ha dato il senso di un processo di cambiamento in atto e di una stabilità, sia pur per mancanza di alternative. Non esiste un governo alternativo e paradossalmente dunque s’è innescato uno scambio di fiducia da parte del ceto imprenditoriale. Renzi non fa tutto quel che Confindustria chiede, però fa cose. Mettendo tutto insieme, oggi vedo l’Italia è il paese che sta meglio tra quelli in difficoltà e che ha imboccato una direzione di marcia».
E, in questo contesto, gli indicatori dell’economia nordestina sono i più vitali soprattutto grazie all’export.
«La ripresa in area Nordest è direttamente collegata alle esportazioni, poiché manifesta una capacità di presidio sui mercati internazionali anche lontani e nuovi particolarmente accentuata. In secondo luogo, occorre dire che l’economia del Nordest è ormai in tutte le produzioni chiave nazionali. Fa componentistica. Inizia a sviluppare attività di servizio. E poi devo dire che mi sono meravigliato tempo fa a leggere un rapporto sulla spesa per cultura in Italia, dove ho scoperto che la più alta per enti pubblici e privati cittadini sta a Nordest. Anche questo, un segno di modernizzazione».
Ma vi sono anche altri due mestieri di elezione, oltre all’industria, su cui il Nordest può trovare nuovi percorsi di sviluppo: turismo e logistica.
«Sulla voce turismo, non scopriamo nulla se pensiamo a Venezia, al Garda, alle spiagge nord adriatiche. Ma esiste una fortissima potenzialità di turismo d’arte, anche per mete sinora poco frequentate come Padova, Udine, Trieste, Treviso. Riguardo alla logistica non riusciamo ancora a sfruttare il nostro patrimonio naturale come dovremmo. Per esempio, ci sono troppi porti in competizione uno con l’altro, il trasporto ferroviario è ancora manchevole, troppe direttrici stradali primarie non sono state completate come la Pedemontana. Ci manca l’intermodalità, ferrovie e autostrade devono entrare in modo efficiente in porti e aeroporti. Siamo ancora lontani dal dispiegare queste potenzialità».
Da ex presidente delle Ferrovie dello Stato, non trova sconcertante che la linea ad Alta velocità/Alta capacità arrivi a malapena a Verona?
«Che il Nordest sia del tutto escluso dai binari Tav dipende da tanti fattori. Occorre un progetto Paese sulla Tav e non procedere a spezzoni. Occorre una forte determinazione e un governo che progetti sul lungo periodo. Ma anche territori che sappiano fare sintesi e non chiedere la luna. I cantieri per il nuovo tunnel ferroviario del Brennero procedono spediti, perché trentini e alto-atesini hanno saputo esprimere una sintesi sul progetto. E così i mercati del Nord saranno aperti. Sottolineo che le risorse non sono il problema: i soldi possono venire in parte dal piano Junker, dai mercati internazionali e ovviamente da fondi statali pianificati negli anni. Mettendo in fila le priorità».
Sinora nel libro dei sogni è entrata la Tav anche tra Venezia e Trieste, e poi verso Lubiana e l’Est europeo.
«Appunto, libro dei sogni. La linea Venezia-Trieste va rafforzata, anche per mettere in rete aeroporti e porti. Non parlo di Tav ma di potenziamento dei binari esistenti. Dobbiamo toglierci l’illusione di poter fare tutto. In Italia ogni territorio ha paura di ridurre le proprie ambizioni infrastrutturali, perché teme che di conseguenza non potrà mai perseguire il progetto nella sua scala massima. Il risultato è che non si fa nulla, né la soluzione ottimale e nemmeno quella migliorativa. E penalizziamo l’attrattività e la vivibilità dei territori».
In tema di attrattività, a Nordest è in atto un fenomeno importante: investitori stranieri, spesso cinesi, stanno valutando l’acquisizione di imprese industriali, competitive con i loro concorrenti anche in termini di prezzo.
«Trovo positivo che il Nordest sia attrattivo per gli investitori internazionali, che prima di tutto sono fortemente influenzati dalle condizioni generali del Paese. Prima di entrare in Italia, ci pensavano dieci volte. L’Italia era sempre sui giornali per la politica bunga bunga, per un ceto dirigente di malfattori o incompetenti, sempre sull’orlo del default. Gli investitori hanno iniziato a pensarci come un Paese normale e vedono che abbiamo aziende interessanti, i cui valori sono bassi perché esiste comunque uno sconto Paese. Seguo il settore private equity come presidente del Fondo italiano di investimenti, e in effetti noto un forte interesse dei mercati internazionali e lo reputo un fatto molto positivo».
Manca però la capacità di fare la marcia inversa: investimenti italiani verso aziende straniere.
«Anche a me piacerebbe una evoluzione equilibrata e vedere tante aziende italiane che comprano imprese straniere. Ma abbiamo spesso aziende di piccola taglia che comperano loro simili e quindi non fanno grande rumore. Noi cediamo i campioni e i marchi, come Grom che passa a Unilever. Sulla scena mondiale e sul lungo periodo, ce la fanno solo i gruppi che dispongono di finanza e distribuzione. Penso al caso dei Benetton e della loro holding Edizione, che difatti è molto internazionalizzata e fondata su una finanza strutturata e solida».
Il tema della finanza è da sempre critico a Nordest. Pensa che il collasso e la incorporazione in gruppi nazionali delle due ultime grandi banche popolari di territorio possa acuire il problema del credito?
«Se Popolare Vicenza e Veneto Banca avessero portato avanti negli anni passati un processo di integrazione corretto, avrebbero potuto costituire un polo creditizio di prima grandezza. Il localismo è stato un vincolo grave. Ma in generale, la disponibilità di credito è davvero abbondante e a tassi bassi. Il problema vero è che le aziende hanno troppo credito nel patrimonio: devono avere più capitale proprio. Non dura all’infinito la possibilità di avere credito a basso costo. Aziende povere e azionisti ricchi è una tesi vecchia e vera. Gli azionisti devono reinvestire di più nell’impresa, per sostenerla nella crescita e difenderla nei momenti di difficoltà. E allora sarà possibile anche aprire il capitale a azionisti terzi, con un processo di condivisione nella gestione, che garantisce più competenza e più trasparenza. Osservo che gli industriali francesi vengono in Italia a comperare le aziende e gli imprenditori italiani vanno a Parigi a comperare le case».
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