Un mese dall’omicidio di Gemona: certezze, dubbi e sviluppi, a che punto siamo
Il 31 luglio scorso veniva svelato al mondo l’orrore dell’assassinio di Alessandro Venier, per mano della madre Lorena e della compagna Mailyn. Sono diversi gli elementi su cui non è stata fatta ancora piena luce

Sembrava non stesse succedendo niente, stava succedendo tutto. Era un venerdì, il 25 luglio scorso. Quel giorno, poco più di un mese fa su Gemona cadeva la pioggia: non una novità per un’estate che, da queste parti, si è affacciata e ritirata più volte. In città la serata di luglio scorreva come tante: chi rientrava a casa dal lavoro, chi gustava un bicchiere di vino, chi stilava piani per il fine settimana. Un venerdì come tanti, insomma.
Quello che Gemona e i gemonesi non sapevano è che in quel momento, nella borgata di Taboga, stava accadendo un fatto destinato a segnare per sempre una comunità, sulla quale quasi cinquant’anni fa i movimenti della terra hanno già inciso ferite profonde.
Venerdì 25 luglio a Gemona sembrava non stesse succedendo niente, stava succedendo tutto
In via dei Lotti una madre stava uccidendo e facendo a pezzi suo figlio, con la complicità della compagna di lui. O almeno, questo è quanto ha raccontato Lorena Venier, l’infermiera di 61 anni reo confessa dell’omicidio di Alessandro Venier, 35 anni, che con Mailyn Castro Monsalvo, che al momento non ha ancora reso agli inquirenti l sua versione, ha una figlia di sei mesi.
Gli antefatti
Se saranno solo gli esami scientifici e il processo a fornire una verità giudiziaria definitiva, durante le confessioni davanti agli inquirenti Lorena ha fornito molti elementi utili a far piena luce sulla vicenda. Quel che è certo, è che da mesi il clima in casa era tesissimo, al limite del sopportabile.

Dopo la nascita della bimba, Mailyn aveva iniziato a soffrire di depressione post partum, uno stato di difficoltà che Alessandro non riusciva a comprendere fino in fondo. Lui che aveva deciso di trasferirsi definitivamente in Colombia, un paese dove anni fa aveva conosciuto la compagna e di cui si era innamorato perdutamente.
La partenza sarebbe stata fissata il 26 luglio, in un primo momento sarebbe andato da solo ma dopo qualche settimana sarebbe tornato a Gemona per prelevare la compagna e la figlia di pochi mesi. Proprio questa sarebbe stata, secondo quanto ha raccontato Lorena, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.

L’idea di lasciare la bimba, a cui era così legata, e la nuora nelle mani di un uomo che negli ultimi tempi era diventato scorbutico, intrattabile e, a tratti, anche violento, era un peso insostenibile. Va sottolineato che, nei confronti di Alessandro, non risultavano né segnalazioni né denunce alle forze dell’ordine. Mancanza, questa, che forse si spiega con il timore che provavano le due donne.
Il delitto
Per questo, da qualche giorno avevano deciso di passare all’azione. Uccidere Alessandro sarebbe stata l’unica soluzione per garantirsi un futuro, per far crescere la bimba in un clima sereno. Quindi preparano il delitto, pensato nei minimi dettaglio. Il piano è definito: addormentare Alessandro, per poi ucciderlo nel sonno. Per questo nei giorni precedenti avevano acquistato online tutto l’occorrente. Il machete e la calce viva, per nascondere il cadavere e prevenire gli odori. I farmaci narcotizzanti, invece, non servivano: Lorena, grazie al suo lavoro di infermiera e a delle prescrizioni mediche, li aveva già in casa da anni.

La sera prima della partenza di Alessandro per la Colombia, il 25 luglio, le donne decidono che non si può più aspettare, è il momento. È proprio Lorena a raccontare agli inquirenti i dettagli della vicenda: «Lo abbiamo stordito con un sonnifero attorno alle 17.30. Ho svuotato un intero blister di medicinali nella limonata, ma non è bastato». Alessandro, infatti, la beve ad ampi sorsi, ma non crolla. Lorena allora insiste: «Gli ho fatto due iniezioni di insulina, visto che non si addormentava del tutto. Quando ha fatto effetto abbiamo provato a soffocarlo con un cuscino, ma Alessandro continuava a reagire, anche se era privo di forze».
E a questo punto che madre e nuora si rendono conto di dover deviare dal piano per portare a termine il progetto. Stando alla testimonianza dell’infermiera, si opta per lo strangolamento con dei lacci delle scarpe. Dettaglio, questo, su cui tuttavia permangono alcuni dubbi: non è chiaro se dall’autopsia siano emersi sufficienti segni sul collo della vittima da sostenere questa tesi. Un verdetto definitivo, in un senso o nell’altro, si avrà solo con i risultati finali.
Lo abbiamo stordito con un sonnifero. Ho svuotato un intero blister di medicinali nella limonata, ma non è bastato, quindi gli ho fatto due iniezioni di insulina
Quel che è certo è che, dopo quasi sei ore di agonia, attorno alle 23 Alessandro Venier muore. È il momento del risvolto più macabro, e, forse, più innaturale della vicenda. Le donne si rendono conto che, nel bidone dentro il quale avevano pianificato di nascondere il corpo in attesa della decomposizione, il cadavere del 35enne non entra. La scelta, presa in prima persona dalla madre Lorena, è di sezionare il cadavere. Un coltello, un machete, un seghetto, sull’arma da taglio utilizzata per diverse settimane ci sono stati dubbi. Alla fine,dopo gli ultimi accertamenti, è arrivata la conferma: per sezionare il cadavere è stato utilizzato un seghetto. Più chiaro, invece, quello che succede dopo. «Ho diviso il corpo di Alessandro in tre pezzi, e Mailyn l’ha trasportato nell’autorimessa e coperto di calce». E lì, nascosto agli occhi di tutta Italia, è rimasto per quasi una settimana.
Il progetto di Lorena è quello di portare i resti in montagna, una volta decomposti, e farli sparire per sempre: Alessandro, d’altronde, ha già informati amici e conoscenti della sua imminente partenza per la Colombia, chi mai si insospettirebbe di non vederlo più in giro? Un piano preciso, che sarebbe stato portato a compimento se, quasi una settimana dopo, nella mattina del 31 luglio, Mailyn non fosse crollata, telefonando alle forze dell’ordine per avvertire dell’orrore che si nascondeva nel garage della villetta di famiglia.
Chi era Alessandro Venier
A Gemona, Alessandro Venier, lo conoscevano in molti. D’altronde, il 35enne è nato e ha sempre vissuto nella città collinare. Si trattava, senza dubbio, di un uomo dal carattere difficile, che a tratti sfociava nella violenza, sia in famiglia sia nei confronti di terzi. Su di lui, infatti, pendeva una condanna per lesioni personali gravi, che stava per diventare esecutiva. Anche così si spiega l’accelerazione nella partenza verso la Colombia.

Alessandro ha avuto una vita tribolata: senza un impiego fisso, ha sempre avuto una certa avversione alle regole. Alternava periodi in cui trovava qualche lavoretto qua e là a periodi a casa. In passato aveva collezionato denunce per coltivazione di sostanze illecite e attività non autorizzate di recupero di residuati bellici. Alessandro parlava anche di un suo possibile arruolamento nella legione straniera, un altro, ennesimo, segnale di voglia di trovare una strada lontano dai suoi luoghi.
Non mancavano, poi, episodi di maltrattamenti di animali e numerosi atti di esibizionismo, alcuni dei quali sono divenuti virali sul web. Una vita tumultuosa, insomma, che gli è stata strappata alla vigilia di un cambiamento che sognava da tempo.
Chi è Lorena Venier
Come può una madre, uccidere e fare a pezzi suo figlio? Al bar, nei luoghi di lavoro, negli approfondimenti sulle tv nazionali: una domanda che, una volta appreso della tragedia, è stata sulla bocca di tutti. Lorena Venier, d’altronde, era una donna come tante. Una vita da infermiera in servizio all’ospedale di Gemona, ha cresciuto da sola, tra mille difficoltà, il figlio Alessandro.

Gentile e sorridente con i vicini, seria e disponibile sul lavoro, chi la conosceva mai avrebbe potuto immaginarla in grado di un simile orrore. «Avrebbe dovuto essere aiutata», racconta chi le è stato vicino e conosceva la situazione familiare. Lorena covava dentro un dolore profondo, esploso nel modo più orribile e ingiustificabile.
Chi è Mailyn Castro Monsalvo
La depressione post partum è una bestia infida. Ai tuoi occhi trasforma la gioia più grande della vita in un tunnel pieno di nero da cui sembra non esistere una via d’uscita. Lo sanno bene le donne che ne soffrono o ne hanno sofferto, Mailyn compresa. Lei, che del caos che che può generare nelle nostre teste ne ha fatto una professione. Giovane psicologa stimatissima, in Colombia era apprezzata a tal punto da essere chiamata a lavorare nella sanità pubblica.

Poi, nel 2022, il trasferimento in Italia, dopo che il suo cuore è stato catturato da un uomo venuto da lontano, con cui sognava di costruire una famiglia. Un sogno che sembrava realizzato nel gennaio di quest’anno, quando Mailyn dà alla luce una splendida bambina. Una gioia che, però, non fa altro che alimentare le tensioni che da qualche tempo caratterizzavano il clima familiare. Mailyn cade nella depressione, Alessandro non capisce e diventa violento, verbalmente e, secondo le testimonianze di Lorena, anche fisicamente.
L’istinto protettivo e lo stato di enorme fragilità degli ultimi mesi, allora, suggeriscono a Mailyn la via più orribile. «L’unico modo per fermare Alessandro è ucciderlo», avrebbe detto alla nuora istigando l’omicidio. E lo scorso 25 luglio Mailyn, da vittima si trasforma in carnefice.
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