Maestra uccisa in casa: il probabile assassino ha un nome 17 anni dopo

Dicembre 2008, Casalserugo (Padova): Maria  Pellegrini venne assassinata in camera da letto, individuato il profilo genetico del probabile assassino. Ecco chi è e perché potrebbe avere avuto dei complici

Sabrina Tomè

Dieci dicembre 2008, un giovedì sera. Fuori, la notte è scura e fredda, sta piovendo e molto forte. Dentro, nel villino anni’ 60 a due piani, lungo la provinciale di Casalserugo, piccolo centro del Padovano, la maestra d’asilo in pensione Maria Pellegrini di 78 anni, si sta preparando per andare a dormire.

Probabilmente sta ripassando i conti degli affitti e delle spese nelle sue numerose proprietà immobiliari, quel ricco patrimonio che il padre le ha lasciato in eredità e che lei ha saputo far fruttare e crescere fino a renderlo milionario.

Prima di coricarsi ci saranno le preghiere, Maria è devotissima, non si è mai sposata perché sposata con Gesù, dice a chi glielo chiede.

Una donna forte, indipendente, impegnata in opere di carità con la parrocchia. Una vita irreprensibile. Ma c’è qualcuno lì fuori nella notte che sta per irrompere nella tranquilla normalità di quella casa e per spezzare quella vita. Maria Pellegrini verrà ritrovata morta il giorno dopo nel suo letto, riversa su un fianco, in camicia da notte, la bocca incerottata con un nastro da pacchi arrotolato stretto anche intorno al collo.

L’ex maestra è stata uccisa, non c’è dubbio alcuno. Il dubbio dominerà invece i giorni, i mesi, gli anni successivi al delitto. Tante piste per trovare movente e colpevole, ma nessuna con uno sbocco certo. Tante indagini, mai nessun indagato. Tanti appelli dei parenti, l’ultimo nel 2021 a Chi l’ha visto, tutti senza risposte concrete. Passa il tempo e la morte della maestra in pensione, un omicidio scioccante per i parenti e per la comunità, un giallo intricato per gli investigatori, esce pian piano dalle cronache diventando un cold case e preparandosi a entrare nella schiera dei casi irrisolti. E invece no. Invece, 17 anni dopo, ecco il clamoroso colpo di scena. Ancora una volta, come sempre più spesso succede grazie al Dna e alle sofisticate tecniche di indagine. Ora c’è un indagato, il potenziale assassino.

C’è un indagato

La svolta clamorosa porta a un albanese di 47 anni con molti alias (ed età relative), attualmente in carcere. Fisnik Keqi, 47enne sta scontando una pena definitiva nel carcere Due Palazzi di Padova per un furto.

Le indagini dei carabinieri coordinate dalla Procura di Padova, hanno portato a rilevare una possibile compatibilità tra il profilo misto del Dna raccolto nella villetta di via Cavour e quello dell’albanese.

In base a questa corrispondenza e alle nuove, moderne, tecniche analitiche, la Procura ha chiesto l’intervento del Ris di Parma per effettuare ulteriori accertamenti sui nastri adesivi trovati sulla vittima.

L’incidente probatorio avrà lo scopo di confermare tale corrispondenza provando a isolare il profilo singolo dell’indagato e altra eventuale mistura con il Dna della vittima o con quello di persone che possono aver concorso nel reato.

A tale scopo è stata fissata dal giudice Claudio Marassi l’udienza per il conferimento dell’incarico ai periti Ugo Ricci del Careggi di Firenze e Carlo Previdere dell’Unità Medicina Legale e Scienze Forense dell’Università di Pavia. Gli accertamenti che verranno eseguiti in presenza dei consulenti delle parti (i parenti della vittima rappresentati dall’avvocato Gianni Morrone e Luana Masiero e l’indagato difeso dall’avvocato Fabio Crea), dovranno dare una risposta univoca e stabilire se è effettivamente dell’albanese dai tanti alias il Dna recuperato sul nastro adesivo applicato dall’assassino sulla bocca e sul collo di Maria Pellegrini.

«Ho chiesto espressamente che venisse effettuato l’accertamento da parte del perito del giudice», spiega Crea, difensore dell’albanese, «Dovrà essere verificata tutta la procedura relativa all’acquisizione del Dna sui reperti e altresì la catena di conservazione».

L’indagine sull’omicidio della maestra in pensione prende dunque nuovo vigore. E se nel 2021 i parenti della vittima erano arrivati a sperare nell’archiviazione in modo da poter studiare tutto il materiale investigativo - secondo quanto spiegato all’epoca dall’avvocato Morrone - ora si aprono nuove speranze di far luce su uno dei casi di omicidio più intricati nella recente storia criminale in Veneto.

Il Dna

La svolta arriva dopo un lungo e faticoso confronto dei reperti raccolti a Casalserugo con il Dna di una cinquantina di persone, perlopiù dell’Est Europa che, per motivi di lavoro o in veste di inquilini, avevano avuto contatti con Maria Pellegrini nel corso del tempo. La maestra in pensione era molto rigorosa nella gestione degli affari ed estremamente attenta a tutte le voci dei conti da saldare: un comportamento scrupoloso e rigido che avrebbe potuto far nascere dissidi, anche molto forti.

Quella di un omicidio scaturito a seguito di un contrasto con persone dell’ambiente degli affari, era una pista percorsa fin da subito dagli inquirenti, ma senza riscontri. La prima ipotesi in assoluto era stata quella della rapina finita male; a farlo sospettare una grata del piano terra divelta. Ma l’assenza di altri segni di effrazione, il fatto che la porta di collegamento interna tra garage e appartamento fosse chiusa e che non risultasse essere stato rubato alcunché di valore, aveva portato gli investigatori ad accantonare anche questa possibilità.

Considerate le notevoli disponibilità economiche dell’ex maestra, un patrimonio di una decina di milioni composto da appartamenti, negozi e garage, la Procura aveva seguito inoltre la traccia del denaro. E a un certo punto si era parlato anche di un testamento misterioso. In realtà era un vicolo cieco.

I due superesperti che dovranno verificare la compatibilità tra il profilo genetico dell’albanese indagato per il delitto e quello “misto” trovato sui nastri adesivi usati per silenziare e immobilizzare la vittima (reperti denominati A, A1 e B). sono Ugo Ricci e Carlo Previderè.

Ricci è un genetista dell’Azienda ospedaliera universitaria Careggi di Firenze ed è il biologo ingaggiato dalla difesa di Alberto Stasi che ha consentito alla procura pavese di riaprire il caso di Chiara Poggi: ex poliziotto, per 13 anni nella Scientifica a Firenze, ha poi vinto un concorso da biologo esperto di Dna nell’ospedale fiorentino Meyer prima di approdare al laboratorio del Careggi dove si è occupato di vari casi di cronaca nera, dalla vicenda del mostro di Firenze al delitto di Meredith Kercher, noto anche come delitto di Perugia.

Previderè è docente dell’Unità di medicina legale e Scienza forense dell’Università di Pavia, che sta già occupandosi di un altro caso irrisolto per conto della procura di Brescia, l’omicidio di Carlo Mortilli, rappresentante di orologi di lusso, freddato a colpi di pistola il 21 maggio 1997 nel parcheggio dell’hotel West Garda di Padenghe sul Garda durante una rapina.

I possibili complici

Maria Pellegrini aveva affittato alcune sue proprietà, una delle quali a una persona che frequentava albanesi non specchiatissimi. Può essere l’aggancio? I carabinieri sono arrivati a F.K. indagando su alcune rapine, il che riapre la pista del colpo finito male.

La strada per arrivare a un’eventuale imputazione è ancora lunga e tutta in salita. Decisivi saranno gli accertamenti in sede di incidente probatorio. I periti, che verranno nominati il 16 luglio, dovranno prima di tutto verificare l’effettività della corrispondenza tra il Dna dell’uomo e quello rilevato sul nastro adesivo.

Per fare questo sarà necessario che la qualità del materiale rinvenuto sui reperti sia adeguata così come lo stato di conservazione. A quel punto si proverà a isolare il profilo del sospettato e si cercherà altresì la presenza di tracce che riconducano ad altre persone. Gli investigatori insomma non escludono la possibilità che in quella casa ci fossero più persone siano più d’uno.

Un’ipotesi, questa, presa in considerazione dai familiari di Maria Pellegrini. La nipote Flavia Viel, oggi residente nel Trevigiano, ha sostenuto fin dall’inizio la battaglia per la verità e la giustizia.

«Ho promesso a mamma che avrei reso giustizia a zia», aveva detto nel 2021 partecipando alla trasmissione. Chi l’ha visto e lanciando un appello nella speranza che qualcuno avesse visto qualcosa. Ora che c’è stata la svolta nelle indagini, Flavia Viel insieme agli altri familiari vede riaccendersi la speranza.

«È un punto di ripartenza, speriamo venga fatta giustizia», spiega, «Non abbiamo mai perso la fiducia, ci abbiamo sempre creduto. C’era del Dna e c’era il fatto che un assassino che non mostra pentimento difficilmente si ferma».

In sostanza chi ha ucciso Maria Pellegini avrebbe commesso altri reati e, prima o poi, sarebbe stato preso. A quel punto, è il ragionamento, il suo Dna sarebbe diventato confrontabile con quello sul nastro adesivo.

La tesi dei parenti

Tra i familiari della maestra in pensione si rafforza la convinzione che la donna sia rimasta vittima di una rapina finita in tragedia. E c’è anche un’altra ipotesi: che ci siano più assassini.

«A nostro avviso quella sera c’erano più persone in casa. Zia, seppur anziana, aveva una straordinaria vitalità, non bastava uno solo a immobilizzarla».

Flavia Viel si sofferma sulla tragedia nella tragedia vissuta in questi anni dai familiari: «La nostra vita è stata sconvolta, segnata non solo dall’omicidio ma anche da terrore perché c’è un assassino in libertà, c’è la paura che possa succedere di nuovo e di nuovo alla famiglia. Zia è stata descritta come una persona ricchissima, paragonabile ai più grossi imprenditori. Non era così, era benestante certo, ma non così ricca. E rifuggiva dall’ostentazione, non amava gli sfarzi, preferiva fare beneficenza».

La ricorda tale anche il nipote Piergiovanni Argenton, ex sindaco di Tribano: «Zia aveva grandi qualità etiche, il suo omicidio ci ha sconvolti. Ma abbiamo sempre avuto fiducia nella giustizia, ci contavamo da sempre e ora siamo felici di questa svolta».

«Ho promesso a mamma che ci sarebbe stata giustizia per la morte di zia», aveva detto la nipote Flavia Viel tre anni fa in tivù. Ora, forse, la possibilità di mantenere quella promessa, anche se è prudente sugli sviluppi l’avvocato di parte civile Gianni Morrone: «C’è stata una svolta, si tratta di un fatto importante. Ma c’è anche un punto di domanda relativo a tutti gli accertamenti da fare: come è stato prelevato il Dna e dove, la compatibilità e così via. Confidiamo in un riscontro positivo». L’avvocato Fabio Crea che difende l’imputato insieme al collega Carlo Cianci, ha espressamente chiesto l’incidente probatorio per verificare la procedura di acquisizione del Dna: «Nomineremo un nostro consulente, un professore dell’Università di Roma», spiega.

(ha collaborato Cristina Genesin)

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