Lago Sorapiss preso d’assalto: selfie, code, spintoni e tanti rifiuti
Abbiamo percorso il sentiero 215 che porta al bacino indaco di Cortina. Fino a 3 mila persone in un giorno in uno dei luoghi più iconici delle Dolomiti venete: la zona è presidiata, ma non basta per fermare gli eccessi

Chi vuole realmente capire il significato di “overtourism in montagna” deve affrontare in un qualsiasi giorno di agosto, magari soleggiato, il sentiero 215 che dal passo Tre Croci porta al rifugio Vandelli e al lago del Sorapiss.
Ma partiamo dal principio: chi conosce l’area, sa benissimo che il primo ostacolo da affrontare per intraprendere questa gita è il parcheggio. E per avere qualche chance di trovare un posto sicuro, bisogna arrivare con largo anticipo nei pressi dell’ex hotel Tre Croci e cercare di accaparrarsi uno stallo di prima mattina. Bisogna quindi studiare una strategia ben precisa e noi l’abbiamo fatto.
Il nostro piano
Per cercare di ridurre al minimo i tempi di raggiungimento del passo Tre Croci, abbiamo pernottato la sera prima della gita a Cortina. Dal centro alla partenza del sentiero 215 sono circa 20 minuti di macchina. Ma per raggiungere la Conca ampezzana siamo partiti due giorni prima da Belluno, facendo il passo Tre Croci a causa della chiusura della Statale 51, interdetta per un forte temporale che si era scatenato a San Vito.
Nel passaggio notturno sul passo Tre Croci, già all’una di notte erano ben visibili e in pole position decine di camper, auto e minivan parcheggiati sul lato della strada e nei pochi stalli presenti in zona, con le persone che dormivano al loro interno pronti l’indomani a presentarsi per primi ai nastri di partenza del trekking. Il nostro pensiero è stato questo: “Ma a che ora dovremo svegliarci il giorno della gita? Di sicuro presto”.

La ricerca parcheggio
È arrivato il giorno del nostro trekking sul Sorapiss. Ci svegliamo prestissimo, raggiungiamo il passo Tre Croci verso le 07.25 e restiamo subito impressionati: i parcheggi e le varie aree a lato strada sono quasi del tutto occupati. Andiamo avanti con la macchina, ma siamo costretti a fare un’inversione a U nel primo piazzale disponibile.

Torniamo quindi indietro con la speranza di trovare uno stallo nel parcheggio che si trova sotto al ristorante Son Zuogo: dotati di un mezzo fuori strada, riusciamo a posteggiare nell’area in un angolo un po’ sconnesso: “Speriamo solo di non trovare strisci al nostro ritorno”.
La partenza
Ecco, finalmente si parte: “Ma quale percorso facciamo? ”. Il sentiero più comune e consigliato è il 215: un percorso ben segnalato che offre un’escursione di circa 2 ore, con alcuni tratti esposti non particolarmente difficili, ma non accessibili a tutti, soprattutto a chi soffre di vertigini.
Ci sono anche i sentieri 213/216, che fanno passare per la forcella Marcuoira e il sentiero 217, che da Federavecchia (sulla strada tra Auronzo e Misurina) arriva al lago passando per il versante opposto, meno frequentato e più ripido. Ma noi scegliamo il 215, la principale arteria dell’overtourism.

Il percorso
Partiti molto presto, l’andata non si rivela troppo affollata e ci permette di godere dello straordinario panorama che ci circonda non appena usciamo dal bosco. Ma in più occasioni dobbiamo adeguarci ai ritmi di chi ci precede, cercando di superare ove possibile e con non poca difficoltà la gente, con reazioni che a volte fanno nascere in qualcuno quasi un senso di sfida.
Lungo il sentiero ci sono bambini, giovani adolescenti, uomini, donne, anziani e animali domestici. In molti sono attrezzati con vestiti e calzature adeguate per una gita di questo tipo, altri con jeans e scarpe da ginnastica, mentre alcuni procedono direttamente a petto nudo visto il caldo. Si trova un po’ di tutto, ma la voglia di raggiungere il lago è tanta e spinge chiunque a resistere sognando la meta.

La prima a cedere lungo il percorso, però, è una ragazza italiana seduta a terra: parla ansimante al proprio ragazzo: “Non mi avevi detto che il sentiero era così esposto!”. Alcune persone si avvicinano e chiedono: “Cosa succede?”. La ragazza risponde: “Ho guardato giù nel vuoto ed ora sono paralizzata”. Noi quella giovane donna non l’abbiamo poi vista arrivare al Sorapiss.
L’arrivo al rifugio e poi al lago
Dopo meno di due ore – abbiamo un buon passo – raggiungiamo il rifugio Vandelli. La prima cosa da fare è andare a salutare la famiglia Pais Bianco che da 26 anni gestisce la struttura.
Come sempre l’accoglienza è calorosa: certo, ci conosciamo, ma non è mai scontato. Da grandi lavoratori ci congedano subito con gentilezza e senza parlare. Ad ognuno il proprio lavoro, loro in cucina e noi a raccontare quello che vediamo.
Ma ora è arrivato il momento tanto atteso: finalmente, dopo un anno, è giunta l’ora di rivedere il lago del Sorapiss: “È sempre bello, ma c’è poca acqua!”.
In effetti, le scarse precipitazioni di neve (in particolare quelle autunnali che un tempo rappresentavano il fondo per la stagione invernale) hanno impattato e non poco sulle scorte d’acqua del lago.

Dopo aver riempito anima e cuore con l’immagine del lago, è ora di guardarsi attorno: siamo a metà mattinata e si contano già diverse centinaia di persone, per il 90% di origine straniera. Bisogna dire che la maggior parte si comporta in maniera adeguata, di certo non come la sera prima.
Il 13 agosto, infatti, un guardia boschi delle Regole d’Ampezzo si è sentito dire “Hijo de puta” da un gruppo di ragazzi ai quali stava semplicemente spiegando cosa era vietato fare nell’area, nel caso specifico il campeggio abusivo.
La priorità della gente: i selfie
Se un tempo raggiungere la meta significava festeggiare con una buona merenda pane e salame, ora la priorità sono prima di tutto i selfie. Quegli scatti così agognati per mesi osservando le immagini pubblicate dalle persone sui diversi canali social. “Il selfie con il lago color indaco: mi sento già meglio, anzi no: prima devo pubblicarlo su Instagram”, il ritornello.
Come spesso capita negli ultimi anni, ecco alcune persone farsi numerose foto vestite eleganti, con abiti lunghi e scarpe da ginnastica, pronte ad immortalare quell’indimenticabile scatto griffate come se fossero allo Ushuaia di Ibiza. Spesso al lago arrivano anche sposini con tanto di fotografo: “Se non è il Canal Grande di Venezia, tutti al Sorapiss”.

Il grande problema
Il grande problema del turismo di massa si può notare tra i cespugli che si trovano a meno di 100 metri dal lago: sono pieni di fazzoletti, escrementi e sporcizie di vario genere, assorbenti compresi. Questo accade tutti i giorni, per la disperazione dei rifugisti e delle guardie: “Ma cosa si potrebbe fare? Forse potenziare i controlli?”.
Nessuno ha una soluzione a tutto, ma quello che pare evidente ai nostri occhi è che il lago del Sorapiss, oggi, ha raggiunto un punto di non ritorno, purtroppo.
Il patema del ritorno
Il ritorno, come sempre da almeno 10 anni, è un patema: lunghissime file nei diversi sensi di marcia, incroci, spintoni, perdite di equilibro, arrabbiature, storte, urla dei bambini: “Speriamo di arrivare in fretta alla macchina”, il pensiero comune.
All’auto ci arriviamo, la giornata è finita: in questi momenti la parte che ama Cortina soffre, ma porta dentro di sé il bello di ciò che ha visto. La parte che scrive l’articolo, invece, spera di dare una visione critica che spinga enti ed istituzioni a fare meglio, per tutelare un luogo più unico che raro.
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