Dal libro al grande schermo: la crisi della sceneggiatura originale nel cinema italiano

Sempre più film nascono da romanzi, saggi e inchieste, riducendo il ruolo dello sceneggiatore a semplice adattatore. Tra piattaforme voraci di contenuti, mutamenti nella scrittura contemporanea e nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, il cinema italiano sembra aver smarrito il coraggio della storia originale

Elena GrassiElena Grassi
Il film "Per te"

«Per un buon film ci vogliono tre cose: una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura e una buona sceneggiatura». Così diceva Alfred Hitchcock, poi ripreso da Truffaut e da molti altri registi del secolo scorso.

Quelli del nuovo secolo, soprattutto italiani, sembrano però declinare il celebre assunto demandando agli scrittori l’inventiva di storie nuove e ispirando i copioni per il proprio film ai libri.

Focalizzandoci anche solo sul presente, non può non saltare all’occhio la gran quantità di opere per il grande schermo tratte non solo da romanzi, ma anche da inchieste, saggi storici, reportage di attualità: un bacino da cui cineasti e produttori pescano a piene mani, riducendo il mestiere dello sceneggiatore a quello di “adattatore”.

È una questione che ha tenuto banco, ad esempio, tra gli addetti ai lavori dell’ultima Festa del cinema di Roma, dove spesso accanto al titolo del film o tra i titoli di coda è stata svelata la fonte d’ispirazione primaria, redatta anche da autori veneti.

Dal libro al film

Il film "Squali"
Il film "Squali"

È il caso di “Per te”, film tratto dal libro della veneziana Serenella Antoniazzi “Un tempo piccolo”, sulla storia di Mattia Piccoli di Concordia Sagittaria, che ha assistito il padre malato di Alzheimer precoce, ma anche di “Squali”, tratto dal romanzo “Gli Squali” del trevigiano Giacomo Mazzariol.

 

Il film "La lezione"
Il film "La lezione"

“La lezione”, che vedremo a marzo prossimo, è invece la versione cinematografica dell’omonimo romanzo del padovano Marco Franzoso, mentre “Alla festa della rivoluzione” sull’impresa di Fiume di D’Annunzio, girato a Udine, è tratto da un saggio di Claudia Salaris.

Il film "Un anno di scuola"
Il film "Un anno di scuola"

La regista triestina Laura Samani propone invece “Un anno di scuola” del suo celebre concittadino Giani Stuparich, e per restare nel Nordest, a Natale vedremo “Primavera” di Damiano Michieletto tratto da “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa.

Nel 2026 saranno girati sia “Se domani non torno”, film su Giulia Cecchettin, ventiduenne di Vigonovo uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, tratto dal libro “Cara Giulia” di suo padre Gino Cecchettin, sia la seconda serie di “Stucky”, ispirata alla saga letteraria di Fulvio Ervas.

E poi in questa stagione abbiamo visto “Tre ciotole” dall’omonimo romanzo di Michela Murgia e “40 secondi” dall’inchiesta della giornalista Federica Angeli “Willy Monteiro Duarte, la luce del coraggio e il buio della violenza”.

Giusto per citarne una decina, ma l’elenco potrebbe continuare, e allungarsi ulteriormente.

C’entra l’AI?

Riflettendo sulle ragioni di una tale crisi d’ispirazione da parte degli sceneggiatori, non si può non considerare l’attitudine contemporanea a una scrittura più breve e incisiva, orientata maggiormente a una comunicazione “social” anche a livello professionale, dal digital storytelling al curriculum “Influencer” dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione.

E tra i nuovi “script doctor”, chi ha ancora voglia, passione e talento, per cimentarsi in testi per il cinema, spesso e volentieri viene ingaggiato dalle produzioni delle piattaforme, voraci di contenuti da proporre e con ampia capacità d’investimento, rischiando anche su storie nuove (per la stesura di una sceneggiatura originale ci possono volere da sei mesi a due anni).

Infine, con coraggio, chiamiamo in causa l’innominabile (e innominata da tutta la compagine creativa della settima arte), intelligenza artificiale, che in tempi rapidi e con efficacia può trasformare un romanzo in un copione. Che con qualche ritocco diventa pronto all’uso.

Il passato e il presente

D’altronde, se guardiamo al passato, il grande periodo del cinema italiano – quello studiato in tutto il mondo, che va dal Neorealismo agli anni Sessanta, passando per la commedia al genio di Fellini – troviamo un forte ancoraggio alla presenza di leggendari sceneggiatori come Cesare Zavattini, Tonino Guerra, Ennio Flaiano, Suso Cecchi d’Amico, Age&Scarpelli, Franco Solinas, e i veneti Rodolfo Sonego (collaboratore fidato e stimato di Alberto Sordi) e Luciano Vincenzoni (che ha scritto per Pietro Germi, Mario Monicelli e Sergio Leone, solo per citare alcuni fra i più noti).

Oggi per scoprire sceneggiature inedite, ci dobbiamo rivolgere principalmente al cinema d’autore (i premi Oscar Paolo Sorrentino e Giuseppe Tornatore scrivono da soli i loro film, così come Marco Bellocchio, Gianni Amelio o Ferzan Ozpetek), e in questo contesto si spiega anche lo straordinario successo di un “piccolo” film di provincia come “Le città di pianura”, che nella sua semplicità (un road movie di due giorni) non è una storia di seconda mano, e trasuda verità umana e autenticità estetica, grazie alla regia personalissima del bellunese Francesco Sossai. Così il cerchio si chiude. Tutto torna, come nelle migliori sceneggiature. —

 

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