Fabio Franceschi: «Faccio libri da 40 anni, ora stampo 2.000 titoli a settimana»

Il tipografo nato in cucina: «Con Gv group punto sull’Intelligenza artificiale a Chicago». E il primo volume? «Pensai: devo stampare libri. Telefonammo a tutti gli editori. L’unica che rispose fu la casa fondata dal figlio di Mondadori: mi diede da tirare Donna Lakota in 3.000 copie» 

Stefano LorenzettoStefano Lorenzetto
Fabio Franceschi, 56 anni, proprietario di Gv group, nello stabilimento di Grafica Veneta a Trebaseleghe

In soli 40 anni, Fabio Franceschi ha saputo costruire ciò che suo padre Rino non riuscì a creare nel corso di una vita intera, «ma solo perché la sua finì all’improvviso nel 1988, quando di anni ne aveva appena 42», si rattrista, «altrimenti chissà dove sarebbe arrivato: era il mio maestro, mi ha insegnato tutto, senza di lui non avrei combinato nulla».

Nel 1985 il figlio ha preso in mano una linotipia da cui uscivano le righe di piombo per i bollettini ufficiali della Regione Veneto e delle Camere di commercio e l’ha trasformata in Grafica Veneta, uno dei principali player europei nella stampa editoriale, anzi in Gv group, perché allo stabilimento d’origine di Trebaseleghe, nel Padovano, in meno di tre anni ne ha aggiunti altri due negli Stati Uniti: la Lake Book Manufacturing di Melrose Park, sobborgo di Chicago, nell’Illinois, e la P.A. Hutchison di Mayfield, in Pennsylvania, fondata nel 1911, specializzata in testi scolastici.

La Lake Book Manufacturing di Melrose Park, sobborgo di Chicago
La Lake Book Manufacturing di Melrose Park, sobborgo di Chicago

Un impero da 760 dipendenti, con 22 rotative che sfornano ogni anno 100.000 titoli di libri (quasi 2.000 a settimana), per un totale di 250 milioni di copie; che si estende da una parte all’altra dell’Atlantico, dalla Laguna di Venezia al lago Michigan; che richiede 15 ore di volo per essere visitato tutto; che ha costretto Franceschi, abituato fin da bambino a farsi in due, a dividersi in tre.

La strategia internazionale si è rivelata vincente. Ad attestarlo è il rating pubblico «A», con outlook stabile, assegnato a Gv group da Crif, la Centrale rischi finanziari che valuta l’affidabilità creditizia di un’azienda. Nel 2024 gli States hanno rappresentato il 67 per cento del fatturato dell’intero gruppo. Ma Grafica Veneta mantiene salde le proprie radici in quel Nordest dove il libro venne inventato nella forma che ancor oggi conosciamo: copertina, frontespizio, capitoli, indice. Merito di Aldo Manuzio e della sua tipografia, aperta a Venezia nel 1494.

Franceschi con la moglie Fiorella Masiero e i figli
Franceschi con la moglie Fiorella Masiero e i figli

Affiancato dalla moglie Fiorella Masiero, sposata nel 1990, e dai figli Nicola, Alberto e Gianmarco, tutti con lui in azienda, Franceschi, 56 anni, non pare molto propenso a festeggiare l’anniversario 1985-2025 di Grafica Veneta, che cade proprio in questo mese di novembre.

Lui è un uomo più da futuro, che da passato. Voltarsi indietro, o riposarsi sugli allori, non è nei suoi cromosomi, anche se pare che progetti una celebrazione tutta incentrata sull’Intelligenza artificiale messa al servizio dei clienti, la sfida che in questo momento lo intriga maggiormente. Credo che c’entri un po’ anche la scaramanzia, dopo essere sopravvissuto a due disavventure che avrebbero stroncato chiunque.

La prima fu la scoperta d’essere affetto dalla Cfs leak, acronimo di cerebrospinal fluid spinal leak, una rara patologia congenita cerebrospinale, venuta alla luce casualmente con una Tac eseguita per una sinusite: «Wouter Schievink, neurochirurgo olandese emigrato al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, mi ha salvato con sette operazioni, una delle quali durata 12 ore». La seconda fu la controversa vicenda degli otto pakistani sfruttati da un’azienda esterna di Trento, alla quale Grafica Veneta si era rivolta per un’occasionale necessità legata agli imballaggi dei libri.

Una beffa per chi ha dato stabilmente un impiego a dipendenti di 34 etnie, 23 delle quali nella sola Trebaseleghe. Il pubblico ministero lo capì e chiese l’archiviazione, concessa dalla Procura di Padova perché non c’erano prove a carico di Franceschi «circa la consapevolezza della situazione dei lavoratori stranieri». Ma nessuno lo ha risarcito del danno reputazionale che ha provocato la perdita di commesse per 100 milioni di dollari soltanto negli Usa.

 

La P.A. Hutchison di Mayfield, in Pennsylvania, fondata nel 1911
La P.A. Hutchison di Mayfield, in Pennsylvania, fondata nel 1911

Gli Stati Uniti adesso valgono i due terzi del suo fatturato.

«L’editoria d’oltreoceano vive una stagione di crescita. Le nuove generazioni sono tornate a frequentare le librerie, si assiste a un rinnovato interesse per il libro fisico. Ormai da vari anni gli ebook si sono assestati su una quota di mercato intorno al 12 per cento. Invece nel triennio 2012-2015 i testi digitali erano arrivati al 25, più del doppio. Carta e inchiostro restano vincenti».

Nessuno ci scommetteva.

«Ho ancora in mente che cosa mi pronosticò un nostro consulente quando nel 2001 gli esposi i progetti che avevo in mente per Grafica Veneta: “In tre anni sarete falliti”. Si sbagliava. Secondo me, un romanzo non legge sul tablet».

Lei lo aveva capito con largo anticipo.

«Beh, io sono nato con il piombo, non con i byte. Avevo 4 anni quando, sotto il tavolo di cucina, con una spazzolina di ferro rifilavo le righe difettose che mio padre Rino toglieva dalla linotype. La compositrice era collocata in una stanzetta attigua alla camera da letto in cui dormivo con i miei genitori».

 

La sede di Gv group a Trebaseleghe (Padova), ora affiancata da altre due tipografie negli Stati Uniti
La sede di Gv group a Trebaseleghe (Padova), ora affiancata da altre due tipografie negli Stati Uniti

Grafica Veneta nacque da una scommessa sui libri.

«Con il Bur, il Bollettino ufficiale della Regione Veneto, non si campava. Pensai: devo mettermi a stampare libri. Perciò al mio parente Liviero Franceschi – suo padre e mio nonno erano fratelli – affidai l’incarico di telefonare ai vari editori. Li chiamò a uno a uno, senza cavare un ragno dal buco. L’unica che rispose fu Sandra Mondani, responsabile tecnico del Saggiatore, la casa fondata a Milano nel 1958 da Alberto Mondadori, figlio di Arnoldo. Qualche tempo dopo ci diede il primo titolo da tirare in 3.000 copie, Donna Lakota, libro autobiografico che racconta la storia di Mary Crow Dog, nata nella riserva di Rosebud, nel South Dakota, diventata un’attivista dell’American Indian Movement. Pur di prendere la commessa, proposi al Saggiatore un prezzo stracciatissimo, in pratica si può dire che quella prima edizione di saggio gliela regalai».

Ma quello fu l’inizio della trasformazione industriale verso la stampa editoriale in grande scala.

«Acquistai le prime rotative offset. M’inventai un’apposita divisione per servizi H24 e instant book. Ancor oggi Gv resta l’unica al mondo in grado di stampare, confezionare e consegnare un libro in 24 ore. Quando Antonio Scurati con M vinse il premio Strega, la divisione H24 fu attivata quella sera stessa per ristampare migliaia di copie durante la notte, con la fascetta aggiornata».

Lo sprone a creare H24 era venuto dal New York Times, se non ricordo male.

«Sì. Cercavano una tipografia in grado di tirare alla velocità della luce 10.000 copie di un instant book scritto da Barack Obama alla vigilia della sua prima corsa presidenziale nel 2008, da allegare all’edizione riservata agli abbonati. Fummo contattati da un’agenzia letteraria statunitense: “Se vi spediamo il file in Pdf per posta elettronica alle 12 di lunedì, ora italiana, riuscite a farci avere le copie a New York alle 8 del mercoledì, ora statunitense?”. Certamente, risposi. Il Pdf della copertina ci venne invece portato di persona da un incaricato dell’editore su una chiavetta Usb».

Per paura che potessero hackerare il titolo, con un’intrusione nella posta elettronica?

«Esatto. In realtà il Pdf del testo ci pervenne con mezza giornata di ritardo, quindi in piena notte. Ma tre ore dopo avevamo già finito di stampare sia il libro sia la copertina. Rilegato, imballato e consegnato nella mattinata del martedì a un cargo di Tnt airways in partenza dall’aeroporto di Orio al Serio. Quindi arrivammo nella Grande Mela addirittura in anticipo sui tempi concordati. Lavorando 24 ore su 24, in 13 anni il fatturato finì per aumentare del 19.262 per cento. Con il punto, non con la virgola».

Il libro Io uccido del compianto Giorgio Faletti segnò un’altra svolta.

«Quando vidi il file Pdf, mi prese un colpo: 800 pagine. Sulle prime lo scambiai per un’enciclopedia. Chi mai avrebbe scommesso come scrittore sul cabarettista che impersonava la guardia giurata Vito Catozzo nel Drive in di Italia 1? Il giorno dopo l’uscita mi chiamò l’editore: “Franceschi, è un trionfo!”. Ne stampavamo 60.000 copie a settimana».

Poi cominciò la saga di Harry Potter, che dura tuttora.

«La scrittrice inglese Joanne Kathleen Rowling pretese clausole contrattuali rigidissime, con penali da milioni di euro, per impedire che uscisse qualche anticipazione tratta dai suoi romanzi. Ci furono imposti 18 agenti di sicurezza armati a sorvegliare la tipografia nell’arco delle 24 ore. I bancali con le copie appena uscite dalla rotativa venivano cellofanati nella plastica nera, in modo che le copertine non fossero visibili. E dovevamo apporre i sigilli di piombo alle maniglie dei Tir che trasportavano i libri da Trebaseleghe al magazzino dell’editore Salani. Le stesse regole draconiane che HarperCollins ci impose per Life, l’autobiografia di papa Francesco».

Nel ramo bestseller siete imbattibili.

«Uno dei momenti più toccanti fu quando Stefania Auci, che del suo I leoni di Sicilia ha finora venduto quasi 900.000 copie, venne a ritirare a Trebaseleghe il libro appena stampato. Se lo strinse al petto e pianse. Nello stesso frangente, a Silvia Avallone tremavano le mani. Così come ho visto lo stupore sui volti di Aldo Cazzullo, Fabio Volo ed Erin Domm, pseudonimo di Matilde, la scrittrice dal cognome ignoto. Il pathos che circonda la pagina fresca d’inchiostro non ha eguali».

Non a caso lei ha sempre posseduto auto di colore nero, prima una Ferrari, oggi una Rolls-Royce Wraith.

«Ma non mi sono mai considerato ricco, al massimo un povero con i soldi, come diceva Gabriel García Márquez».

Stampa per i 70 principali editori al mondo, a cominciare dai colossi Penguin e Hachette.

«Stampo anche l’editoria scolastica per il Maghreb, il Corano per i Paesi del Golfo, gli elenchi telefonici per Costa d’Avorio, Senegal, Ciad, Camerun, Malawi, Togo. Ci è stato commissionato un libro artigianale, Les Trois Monarques, per la famiglia reale marocchina. Lo abbiamo fatto con carta pregiata, copertina in materiale ecologico, cuciture a mano, cofanetto, tutto costruito come se fosse un abito di sartoria».

 

Fabio Franceschi in terza elementare

Sulla qualità non transige.

«Ho investito su nuove macchine offset Komori che, oltre a una stampa più veloce, assicurano meno scarti. Ho potenziato l’area automazione, anche qui con una riduzione dei residui pari al 20 per cento. È stata avviata la prima linea di stampa Rotajet che garantisce la qualità offset su tirature minime, in tempi rapidissimi: il libro finito in un secondo. Siamo la prima azienda editoriale italiana ad aver ottenuto la certificazione Carbon neutrality per stampa e rilegatura».

Dà un ritorno economico?

«Il libro ecologico, confezionato con inchiostri vegetali e colle ad acqua all’interno di un ciclo produttivo a basso impatto ambientale, è un servizio che ci hanno chiesto gli editori della Francia e del Nord Europa e noi siamo stati ben felici di offrirglielo. Un investimento mica da ridere: 40 milioni di euro. Chiaro che un ritorno economico c’è sempre: il libro ecologico viene pagato un 6 per cento in più. I nostri clienti sono molto sensibili alle tematiche green, ci chiedono persino il trasporto dei libri con il treno anziché con i Tir. Questi volumi hanno il pregio, se abbandonati nell’ambiente, di dissolversi nel giro di due anni senza lasciare tracce. Invece un libro convenzionale si distrugge solo dopo 300 anni».

Ho visto che c’è un impianto fotovoltaico sul tetto dello stabilimento.

«Sono 39.000 pannelli di ultima generazione, in totale circa 100.000 metri quadrati di superficie. Da oltre dieci anni abbiamo reso i nostri stabilimenti energeticamente autosufficienti, grazie a quasi 9 megawatt di picco del fotovoltaico e a un trigeneratore a gas che garantisce il riscaldamento e il raffrescamento della fabbrica. L’energia prodotta è superiore al nostro fabbisogno medio. L’eccedenza viene immessa in rete: una scelta che ci tutela anche da eventuali rincari. Abbiamo già installato quasi 40 megawatt tra impianti fotovoltaici a terra e turbine eoliche. L’obiettivo per il prossimo biennio è quello di raggiungere i 100 megawatt».

L’Intelligenza artificiale è la nuova sfida.

«Sì, ne sono assolutamente persuaso. E infatti stiamo avviando nell’area metropolitana di Chicago un data center di Artificial intelligence all’avanguardia, basato su decine di server Gpu ad alte prestazioni, con l’obiettivo di mettere a disposizione dei clienti soluzioni su misura. Con la tumultuosa evoluzione dell’Intelligenza artificiale, il data center avrà bisogno di molti più computer e server, nell’ordine di centinaia di macchine, per gestire la potenza di calcolo richiesta. Grazie all’Ai, stiamo sperimentando servizi per l’editore relativi a sistemi di stoccaggio e gestione delle scorte, con l’obiettivo di ristampare automaticamente in base al numero delle copie vendute. Questo riduce le rese eccessive e gli sprechi, consente all’editore di avere disponibilità costante senza problemi di magazzino, perché gli stampiamo giorno per giorno solo ciò che gli serve».

Come mai è andato in America, non le bastava l’Italia?

«La scelta d’investire negli Stati Uniti nasce da un percorso di crescita nel lungo periodo e da una visione. All’inizio degli anni Duemila, con il boom dei libri allegati ai giornali, abbiamo consolidato il mercato italiano ed esportato il modello in Europa orientale. Ricordo che nella sola Romania, nel giro di tre anni, smerciammo con Adevărul, quotidiano di Bucarest, la bellezza di 100 milioni di copie. Nel decennio successivo abbiamo lavorato molto con lAfrica. A quel punto la ricerca di nuovi mercati ha portato oltreoceano: prima servivamo i clienti Usa dall’Italia, adesso abbiamo deciso d’insediarci sul posto».

Immagino che sia un mercato diverso dall’Europa.

«Totalmente. La filiera della stampa là è meno competitiva perché, per oltre 20 anni, hanno investito poco in tecnologie e capacità produttiva. Al tempo stesso è un contesto che favorisce il business: la burocrazia è quasi inesistente. L’altro lato della medaglia è un mercato del lavoro molto costoso, con carenza di manodopera qualificata. Ci stiamo attrezzando con la formazione interna, l’automazione dei processi e l’integrazione delle competenze tra le due sponde dell’Atlantico».

I dazi non la preoccupano?

«Il tema potrebbe sembrare bypassato dalla nostra presenza sul suolo americano. Ma il problema non riguarda solo il costo diretto: i dazi penalizzano perché generano incertezza nei comportamenti, dai fornitori ai consumatori. Devi spingere ancora di più sul valore aggiunto – innovazione di processo e di prodotto, servizi, tempi di risposta – così da far incidere meno il prezzo sui criteri di scelta. C’è poi un aspetto poco raccontato: il procurement».

Traduca, please.

«La carta pesa quasi la metà del valore del servizio di stampa. Negli Stati Uniti la acquistiamo sul mercato domestico, dove i principali competitori sono Canada e Nord Europa. Se l’attuale quadro dei dazi dovesse rimanere invariato, mi aspetto ulteriori aumenti, con un effetto a cascata sul prezzo finale del libro. Il nostro lavoro è mitigare questi svantaggi con l’efficienza industriale e la pianificazione degli acquisti».

Certo che è andato a cercarsene di gatte da pelare.

«La saggezza yiddish insegna che non bisogna mai pregare perché cessino le tribolazioni: quando finiscono le tribolazioni, finisce anche la vita. Meglio risolvere problemi».

Tenendo presente la lezione di Giulio Andreotti, secondo il quale un terzo dei problemi è irrisolvibile, un altro terzo si risolve da solo, basta aspettare, e l’ultimo terzo non sono problemi.

«Con il tempo ho capito che ogni grana, se la esamini in profondità, presenta tre soluzioni: la mia, la tua e quella giusta. È che spesso a noi uomini manca il coraggio di applicare quella giusta».

© MARSILIO EDITORI

 

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