Se la falegnameria è donna: nasce “Lêntamente”, il laboratorio che unisce le generazioni
Cinque ragazze hanno raccolto le testimonianze di dodici artigiani e trasformato le storie in una mostra

C’è una delicatezza fuori dal comune negli artigiani che lavorano il legno. Lo scelgono, lo toccano, lo modellano. Più le mani sono ruvide e più il ceppo sotto i polpastrelli diventa seta. E poi c’è quella polvere che si crea mentre lo intagliano, per costruire una sedia o una cassettiera, che si posa sopra di loro e che gli conferisce un’aria così melanconica, quella di un mestiere resiliente, fermo nel tempo.

E se il “marangon” fosse una donna? Alla fine è un mestiere che parla alla pancia del territorio e che questa terra l’ha vista cambiare. Proprio come le cinque giovani donne, under 30, dietro il progetto “Lêntamente”. Loro sono Eleonora Majeroni, Isabella Masutti, Annalisa Micheletti, Ilaria Gasparotto e Alice Zorzin. Arrivano da tutto il Friuli, da Udine, Monfalcone e Cervignano, proprio come le storie degli artigiani che hanno raccolto in due mesi e che arricchiranno la mostra che verrà inaugurata giovedì, 29 maggio, alle 18.30, in piazzale Carnia 2.
Cinque donne che mandano all’aria tutti gli stereotipi e che parlano di un lavoro da sempre considerato molto maschile. Ma che, invece, proprio in quella delicatezza dei gesti e in quella malinconia delle tradizioni, non si ingabbia in nessuna declinazione di genere. E non è nemmeno un caso che tre di loro, Ilaria, Eleonora e Annalisa, nella vita facciano proprio quello: lavorano con il legno. «Qualcuno non ci crede, altri si stupiscono quando glielo racconto», dice Eleonora Majeroni. Ma perché? Per un pregiudizio? «Sì, anche. Ma soprattutto perché lavori di questo tipo, dove la forza fisica è il filo rosso, sono associati solo agli uomini. Dai, pensiamoci. Quante donne elettriciste conosciamo? O quanti muratori lo sono? Io, come donna, ho due braccia esattamente come gli uomini».
Quante donne muratori conosciamo? E quante elettriciste? Eppure io mi trovo così bene a cambiare una presa di corrente
Un pregiudizio che non ha età o precise aree geografiche. Anzi, a dirla tutta, «ai falegnami intervistati interessava solo che il lavoro fosse fatto bene. Molto tipico atteggiamento lavoratore-friulano», scherzano.
Tra i tanti punti di forza del progetto Lêntamente (da “lên”, che in friulano vuol dire appunto legno ma che indica anche un modo meno ansiogeno di approcciarsi alla produzione d’arte) c’è la ricchezza delle storie raccolte dalle cinque ragazze.
Dieci testimonianze che abbracciano tutte le province della regione, dalla Carnia al Pordenonese, e tutte le classi d’età, dagli 87 ai 27 anni. Cinquant’anni di differenza tra nuove tecnologie ed eterni gesti. «A gennaio abbiamo deciso di partecipare al progetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “Si può fare”, erogato in regione attraverso Casaupa. Vinto il bando, ci siamo confrontate per vedere quali sono i punti in comune, partendo dalle nostre storie personali e dalle nostre radici», spiega Isabella Masutti, coordinatrice per la parte della mostra.

«Quello che tornava spesso era proprio questo rapporto con il legno e con chi lo lavora. Il primo ad ospitarci nella sua bottega è stato Giulio. lo zio di Eleonora. Radici e legno in un solo luogo». Poi, come succede quando si ascolta davvero la memoria delle persone, sono le storie ad essere arrivate a loro: «Abbiamo dovuto fare una scelta, potevamo arrivarne centina da tutta la regione». Queste testimonianze sono diventate il materiale della mostra.
Un’esposizione che sarà un’esperienza immersiva nel mondo dell’artigianato: «Ci saranno le foto di Alice, video e le trascrizioni delle interviste. Ma non solo. L’idea era quella di rendere tutto a misura di chi arriva nello spazio di piazzale Carnia. Ad esempio, si potranno vedere e toccare tutti gli strumenti in legno che usano i falegnami e parte degli allestimenti saranno costruiti con l’aiuto di chi partecipa ai nostri laboratori (in programma il 24 e il 25 maggio)».
E dopo? Cosa ne sarà del progetto? «I progetti e le idee sono tante. Ci piaceva dare un nuovo spazio al quartiere, come quello che stiamo qui riqualificando». Chi entra in questo spazio work in progress, infatti, ha proprio la voglia di lasciare in tasca il cellulare e imparare davvero . Sentire di costruire qualcosa che duri più di un video sui social.
«Stiamo valutando di aprirci al sostegno economico di uno o una mecenate che creda nel progetto. Qualcuno che capisca l’importanza di un’esperienza simile». Tanti sogni e molte storie ancora da raccontare. Con un’unica certezza: crescere, imparare e radicarsi. Lentamente.
*Immagini concesse da Alice Zorzin
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