Il più enigmatico personaggio del Novecento: Roberto Vecchioni racconta Pasolini
Il centro focale di tutto si trova nel taxi preso a Parigi nel 1963, quando nacque poesia in forma di rosa, un lungo sfogo contro il progresso

Roberto Vecchioni ha scritto per i nostri giornali una sua analisi del genio di Pier Paolo Pasolini, in occasione dei 50 anni dalla morte.

Potrei spaziare a 360° gradi su cose che tutti sanno o credono di sapere sul più intricato, enigmatico, divisivo intellettuale del nostro Novecento, a volte contorto, oscuro, persino ossimorico, dilagante in ogni forma espressiva possibile, dal romanzo al racconto al pamphlet, al cinema al teatro, al giornalismo, ai versi friulani: non lo farò, o almeno lo ricorderò in parte.
In questo “nihil humanum alienum mihi”, Pasolini ci dà misura di una febbre inguaribile alla ricerca ovunque e comunque di un “ubi consistam” universale, sempre più impossibile nel divario, nel baratro prodottosi tra natura e cultura borghese attuale.
Ma è nel taxi preso a Parigi nel ’63 il nucleo, il centro focale di tutto il suo rincorrere e rincorrersi. Qui nasce “Poesia in forma di rosa”, lungo sfogo poetico di cinque dolori, di cinque fallimenti suoi e di tutti, un’analisi spietata dell’essere pro o contro il progresso che è comunque inevitabile imbuto verso la fine della civiltà. E il sogno di un reset per ripartire dalla preistoria.
Qui, nella “Supplica a mia madre” la condizione che si perde a uscire dal suo utero, dove “nuova umanità” è infine “maternità eterna”, legge d’amore che abolisce distinzioni, ci fa come gli altri, tutti, attutisce le scelte demenziali che chiamiamo progresso con il sentimento di una crescita ugualitaria conforme alla natura.
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