L'economista Bisin: «I dazi hanno effetti, ma è l’incertezza il vero problema per le nostre imprese»
L’analisi dell’economista Bisin, docente alla New York University. «Decisioni strategiche possibili solo davanti a una situazione chiara»

In tutt’Europa le nuove politiche protezionistiche americane stanno creando un clima di profonda incertezza per il tessuto produttivo. Su questi temi abbiamo intervistato Alberto Bisin, professore di economia alla New York University ed esperto di integrazione culturale, in occasione della sua partecipazione al convegno “Migration and Religion: International Law Perspectives and Beyond” all’Università di Trieste.
Professor Bisin, il dollaro si è indebolito rispetto all’euro. È un fenomeno temporaneo o strutturale?
«Sarei ricco se lo sapessi. L’indebolimento è dovuto alle nuove politiche economiche di Trump. C’è una quantità enorme di incertezza: non sappiamo quanto alte saranno le tariffe, se la Fed sarà indipendente. Se è temporaneo dipende da quanto lo sarà questa incertezza politica».
Che effetti avranno i dazi sulle imprese?
«È chiaro che i dazi riducono la domanda e aumentano i prezzi. Ma il problema principale oggi è l’incertezza. Le imprese hanno bisogno di certezze strutturali per decidere. Se oggi con la mia impresa mi trasferisco negli Stati Uniti per evitare i dazi, devo avere la sicurezza che rimarranno alti a lungo, perché è un’operazione complicata e costosa».
Che consigli darebbe alle imprese?
«Non sappiamo cosa succederà. Le imprese potranno prendere delle decisioni solo quando la situazione sarà più chiara. Ma siamo entrati in una fase in cui il commercio internazionale è forzatamente ridotto, e quasi tutti gli economisti dicono che ciò è negativo».
Trump ha affermato che gli Stati Uniti stanno guadagnando molto attraverso i dazi. È una strategia sostenibile nel lungo periodo?
«Attraverso i dazi stanno senz’altro entrando più dollari nelle casse americane. L’incertezza attuale fa sì che questo effetto sia più alto di quello che sarà nel lungo periodo, perché le imprese per il momento pagano senza aver ancora riottimizzato le loro strategie. Ma prima o poi si muoveranno, cambieranno le strutture produttive e troveranno modi per aggirare i dazi».
L’Europa aumenterà le spese per la difesa. Un’opportunità per le sue imprese?
«Un aumento della spesa militare comporta vantaggi per le imprese del settore. Ma dipendiamo dagli Stati Uniti per molte tecnologie militari e non è facile produrre armi compatibili con i loro sistemi. Un’industria della difesa puramente europea non funzionerebbe. D’altra parte l’obiettivo è la deterrenza, non l’indipendenza industriale».
Le migrazioni restano uno dei temi centrali del XXI secolo. Quale scenario vede per il futuro?
«La spinta migratoria è principalmente economica, ma viene amplificata dalla demografia. Siamo vicini all’Africa, che vive una situazione economica drammatica e rimane l’unico continente dove la fertilità non è crollata. Ma anche i cambiamenti climatici incidono e incideranno sempre più».
Cosa possiamo imparare dall’esperienza americana?
«Negli Stati Uniti la politica migratoria è andata a ondate, da secoli, alternando momenti di apertura e chiusura. Oggi la domanda di restrizioni all’immigrazione è enorme, ovunque. Tanto che Trump e parte della sinistra americana hanno posizioni simili. E stanno rispondendo a una domanda reale».
Perché c’è questo scollamento tra necessità economiche – abbiamo bisogno dei migranti, che svolgono lavori che noi non vogliamo fare e suppliscono al calo demografico – e percezione pubblica?
«Ci sono due dimensioni: quella economica e quella culturale. Gli effetti economici non sono enormi, perché c’è bisogno di questi lavoratori. Ma l’effetto culturale è molto forte. Non sono i timori economici a scatenare le reazioni contro l’immigrazione, ma quelli culturali». —
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