UniCredit, Merz boccia la scalata: «Per noi è ostile»

Il cancelliere tedesco durissimo sull’operazione su Commerzbank: «Grave trasformare le azioni in derivati senza averlo concordato»

Giorgio Barbieri
La sede di UniCredit in piazza Gae Aulenti a Milano
La sede di UniCredit in piazza Gae Aulenti a Milano

«Le modalità seguite da UniCredit su Commerzbank sono ostili e noi non le accettiamo e non le sosteniamo». È con parole nette che il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha bocciato l’attivismo dell’istituto guidato da Andrea Orcel. Un giudizio severo, che non lascia spazio a interpretazioni e che apre un fronte diplomatico e finanziario inedito tra Italia e Germania.

Merz ha puntato il dito contro la scelta di UniCredit di «trasformare le azioni in derivati senza concordarlo né con Commerzbank né con noi», una mossa definita apertamente «ostile»

 Ma è la seconda obiezione del cancelliere a suscitare le preoccupazioni maggiori: l’eventuale fusione potrebbe dar vita a un colosso bancario europeo con un profilo di rischio che, a detta di Merz, potrebbe minacciare la stabilità del sistema finanziario.

«Fino a quando questa questione non è chiarita in modo esaustivo» ha aggiunto «non potrò cambiare la mia opinione». In altre parole, la Germania non si oppone solo per motivi di principio o sovranità economica, ma per una valutazione strutturale dell’operazione, che coinvolge leve politiche e finanziarie di lungo respiro.

E questo complica, e non poco, le ambizioni espansionistiche di UniCredit.

Anche sul fronte italiano la partita è complessa.

L’offerta pubblica di scambio (Ops) su Banca Popolare di Milano non è infatti meno intricata

 A distanza di oltre otto mesi dall’annuncio, l’operazione resta impantanata tra ostacoli normativi, scarsa adesione del mercato e tensioni istituzionali. La scadenza, fissata al 23 luglio, si avvicina come una spada di Damocle, mentre non è ancora chiaro se ci sarà una proroga.

A gettare ulteriore incertezza sul dossier Bpm è la Consob, che attraverso il presidente Paolo Savona, ha lasciato intendere che l’Authority sta valutando se esistano margini giuridici per intervenire nuovamente sull’operazione.

«Stiamo studiando» ha detto Savona nei giorni scorsi in audizione al Senato, «se abbiamo i poteri di fronte a una situazione che non è ancora chiarita. La prima risposta è che non li abbiamo, ma se emergerà il contrario, li eserciteremo».

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito che la priorità rimane la sicurezza nazionale, una dichiarazione che suona come un avvertimento per chi immaginava che la situazione potesse cambiare. In questo clima, si fanno sempre più insistenti le voci di un possibile consiglio d’amministrazione straordinario di Unicredit, già convocato per il 22 luglio per l’approvazione dei conti semestrali.

In quell’occasione, il board potrebbe essere chiamato a prendere una decisione definitiva sull’Ops Bpm: rilanciare, magari con un’offerta più generosa, o gettare la spugna.

Due opzioni diametralmente opposte, ma entrambe con implicazioni significative.

È chiaro che se venisse scelta la strada del rilancio si dovranno mettere in conto nuovi ostacoli regolatori e resistenze politiche, in un contesto in cui ogni mossa è sotto la lente delle istituzioni italiane ed europee.

La politica infatti continua a polemizzare per la decisione del governo di esercitare il Golden Power.

«Non hanno ancora spiegato il motivo per cui hanno utilizzato un bazooka, come il Golden Power, per intervenire nel caso UniCredit-Bpm, adducendo motivazioni di sicurezza nazionale, mentre non hanno fatto assolutamente nulla sulla contemporanea scalata di Montepaschi su Mediobanca. O interviene in entrambi i casi, o, come sarebbe giusto, si astiene da mettere il becco in operazioni di mercato di banche italiane», ha spiegato il senatore di Italia Viva Enrico Borghi, «sull’utilizzo del Golden Power nei confronti di una fusione che riguarda due banche italiane con sede legale a Milano, la Commissione europea ha clamorosamente smentito il ministro Giorgetti». —

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