L'ordine di Vincenzo Consoli era: vendere azioni e comprarle dai big

VENEZIA Se ne sono andati due anni e mezzo fa portandosi dietro, per tutela personale, le mail che ricevevano dal capoarea. Vendere azioni, vendere, vendere: era il ritornello quotidiano. «Datevi una mossa o siete rincoglioniti? Avete una media troppo bassa, volete lavorare ancora qui o preferite Belluno come sede?».
Questo il tenore. Siamo nella sede di un importante istituto bancario veneto, con il registratore sul tavolo e quattro ex dipendenti di Veneto Banca. Hanno ruoli di rilievo in un altro ente, sono pronti a raccontare come andavano le cose a Montebelluna. La conversazione dura poco più di un’ora. Chiedono riservatezza sui nomi, ma è un anonimato che durerà poco: appena il danno sarà quantificato, partiranno le azioni legali contro la banca, basate su fatti interni, non su articoli di giornale. Il gruppo include soci per un valore tra 12 e 13 milioni di euro. Veneto Banca ricomprava solo azioni dagli amici di Vincenzo Consoli.
Non solo Bruno Vespa, che nel settembre 2014 è riuscito a farsi rimborsare 8 milioni di euro. Anche il dentista padovano Paolo Rossi Chauvenet ha riavuto 2 milioni, quando le azioni erano sui 39-40 euro, pur essendo consigliere d’amministrazione. Trattamenti riservati. Non a caso Consoli, Rossi e Vespa sono comproprietari della Masseria Cuturi, 270 ettari in Manduria, provincia di Taranto, intestata alle rispettive mogli. Quando tre anni fa il nostro giornale dette notizia del prestito di 7,5 milioni di euro di Veneto Banca a Denis Verdini per salvarlo dalla bancarotta del Credito Fiorentino, Consoli non ci pensò due volte a licenziare in tronco un dipendente, secondo lui fonte della notizia. Era lo stile dell’uomo: manager sicuramente molto capace, ma del tutto referenziale. «Favoritismi, arbitrio, prestiti dati senza garanzie fino a milioni di euro», raccontano i fuoriusciti di Veneto Banca.
«Tra febbraio e marzo di quest’anno, in una cena a Villa Borromeo di Sarmeola, Consoli con a fianco il presidente Favotto rassicurava ancora i grandi soci e i dirigenti più fidati dello staff, che gli chiedevano come sarebbero andate le azioni: l’istituto è solido, le azioni non dovrebbero più scendere. Un mese dopo perdevano il 25%. Poteva essere in buona fede?» Mentre Consoli dispensava ottimismo e continua a farlo, i direttori di filiale sputavano e sputano sangue, per mantenere in piedi fidi in scadenza, garantiti dalle azioni fatte comprare ai clienti. Per sostenere pratiche di gente che non può riscattare gli investimenti. Qui nascerebbero le dimissioni del professor Favotto, che non avrebbe lasciato la presidenza per ragioni di salute. Il vero motivo l’avrebbe confidato ad un collega del dipartimento di Scienze economiche, socio di Veneto Banca e cliente di uno dei fuoriusciti: «Ha visto che le cose sono peggiori di quello che sembrava e non voleva essere lui dover a bastonare ulteriormente i poveri risparmiatori che hanno già rimesso i soldi. Ha preferito andarsene, che lo faccia qualcun altro».
Cosa c’è ancora di peggio? «Ci sono crediti deteriorati da 7-8 anni, di clienti con sentenze di fallimento, che la banca non ha mai messo tra le perdite. Mai iscritti a bilancio. La parola d’ordine era lasciateli là. Basta andare a guardare le aziende fallite nel Trevigiano e verificare la banca che le finanziava. Solo con dieci aziende totalizziamo un miliardo e mezzo di perdite. Erano pratiche da rifare anno per anno, autorizzati da Consoli. Secondo voi erano finanziamenti garantiti?». Per statuto, dal 1° gennaio all’assemblea di fine aprile, le Popolari non possono più comprare o vendere azioni. «Invece nel 2013 e nel 2014 Veneto Banca ha continuato a vendere. Le istruzioni erano di dire ai clienti che compravano a gennaio, che veniva riconosciuto loro il dividendo di aprile per intero, non in quota parte. Come se le avessero tenute per 12 mesi. Beccavano sia il rialzo del titolo sia il dividendo». Eppure già ad aprile 2013 con le azioni a 40,75 euro si percepiva che in banca qualcosa non funzionava.
«Continuavano a dirci di collocare azioni, obbligazioni subordinate e convertibili, a vendere fondi diversi per comprare Arca, i fondi di casa, dove la banca aveva più ritorno economico. Fino al 2012 Consoli ci diceva: dovete dare ai clienti quello di cui hanno bisogno. D’improvviso tutto era cambiato. Quando una banca insiste per collocare il proprio capitale, qualcosa di grave sta succedendo ma una situazione così pesante era impensabile. Tanto più che fino al 2007 Veneto Banca non dava azioni a tutti, c’era la lista d’attesa». I dirigenti più avveduti si passano parola, cercano vie d’uscita. Alcuni informano i clienti che hanno deciso di cambiare banca, consigliano di vendere le azioni. «Quando ce ne siamo andati», dicono due dei fuoriusciti, «i nostri clienti sono stati discriminati. Per punire noi, hanno tenuto in ostaggio loro. La vendita delle azioni è prevista per statuto in ordine cronologico di richiesta e la domanda va registrata entro 3 giorni. Invece abbiamo ordini trasmessi in una data e registrati dopo molti mesi».
Il capoarea che spediva le mail di insulti adesso è sospeso, con un gruppo di altri dirigenti. L’ha deciso qualche settimana fa il nuovo ad Cristiano Carrus, che dopo aver venduto il jet privato e le 180 auto blu della stagione Consoli, sta raschiando il barile in cerca di risorse. Motivo della sospensione: avevano messo in vendita le loro azioni personali nel 2015, non si sa se ancora a 39 euro o già 30,5. Ma non sarebbe la cupidigia il vero motivo della vendita: «Sono dirigenti della cordata di Consoli, sembra che abbiano venduto a lui. Consoli starebbe rastrellando azioni per rimanere in gioco, forse non direttamente, ma con un gruppo di imprenditori veneti».
Mister Geox sarebbe uno di questi. Al quadro di responsabilità mancano gli organi di controllo. «Banca d’Italia ha avuto non poco peso nel suggerire a Consoli di comprare a suo tempo Carifabriano, Banca Apulia e Intra, tre istituti pieni di debiti». Per non parlare dell’ordine di confluire nella Popolare di Vicenza, inguaiata tanto quanto Veneto Banca. Due zoppi non fanno un corridore.
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